La nuova (ultima?) battaglia di Mirafiori

Sul territorio piemontese si sta aprendo una battaglia molto difficile per un rinnovato sviluppo industriale garante dell’occupazione, dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, compatibile con l’ambiente [corrispondenza da Torino]

Le recenti dichiarazioni dell’Amministratore  Delegato di Stellantis, Tavares, sulle incerte sorti di alcune fabbriche italiane della grande multinazionale dell’auto hanno finalmente riaperto l’attenzione sullo stabilimento di Mirafiori cioè sul futuro dei circa 10 mila lavoratori e lavoratrici che ancora vi lavorano, da anni costretti a lunghi periodi di cassa integrazione con forte riduzione dei salari, ma anche sulla sorte delle decine di migliaia di lavoratrici/tori dell’indotto che corrono il rischio di essere travolti dalla scomparsa di quel che per molti decenni è stato il centro propulsore dell’industria nella regione. Le organizzazioni sindacali hanno aperto un periodo di mobilitazione che culminerà con uno sciopero e una manifestazione cittadina il 12 aprile.

Una breve ricostruzione

E’ ben noto che per tutto il ‘900, Torino è stata una città (un territorio) al servizio della Fiat e dei suoi proprietari, la famiglia Agnelli. Le amministrazioni locali e i governi, nazionali, qualsiasi ne fosse il colore, ne hanno sempre assecondato gli interessi, in primo luogo favorendo il trasporto privato e regalando alla azienda una barca di soldi pubblici. Una vera manna dal cielo, o per meglio dire dall’erario pubblico.

Dopo aver sfruttato generazioni di operai e impiegati, gli Agnelli, di fronte alla sempre più acuta concorrenza nel settore delle automotive, hanno scelto sia di “diversificare” gli investimenti in altri settori, sia di realizzare varie integrazioni aziendali che hanno generato prima la FCA (Fiat Chrysler Automobiles)  e poi la fusione con la francese Peugeot (PSA) che ha fatto nascere Stellantis, al fine di salvaguardare gli interessi di una intera famiglia diventata molto numerosa ed anche assai ingorda. Le ristrutturazioni industriali sono state profonde e grandi comparti della produzione sono stati spostati in paesi dove la manodopera costava molto meno ed era più facilmente sfruttabile. Non solo il numero degli occupati si è fortemente ridotto, ma contemporaneamente le direzioni aziendali degli stabilimenti hanno fortemente peggiorato le condizioni di lavoro e di salario. E’ opportuno ricordare che le grandi lotte della fine degli anni 60 e 70 avevano notevolmente migliorato le condizioni salariali e normative della classe operaia; queste conquiste sono state via via erose e il capo della FCA, Marchionne decideva, a partire dal 1 gennaio 2012, addirittura l’uscita dell’azienda dalla Confindustria imponendo alle/agli dipendenti un contratto di lavoro diverso e peggiorativo rispetto a quello nazionale dei metalmeccanici. Anche la sede fiscale veniva trasferita in Olanda per godere di un più favorevole (per i padroni) regime fiscale.

Le attività industriali si contraevano sempre più con pochissime produzioni determinando una emorragia continua di occupati  e lunghissimi periodi di cassa integrazione per altro combinata con ritmi di lavoro più duri e intensi nei periodi di presenza in fabbrica. In compenso i profitti di FCA e poi di Stellantis sono andati a gonfie vele garantendo dividendi copiosi agli azionisti, a partire naturalmente dalla famiglia Agnelli. La storia recente di questo territorio smentisce cosi la sciocchezza assai diffusa che i buoni affari degli imprenditori abbiano sempre ricadute positive sull’intera società e sulle lavoratrici e lavoratori.

Oggi, è dunque forte il rischio che Torino resti senza progettazione e produzioni nel settore delle automotive assieme a tutte le industrie (indotto) e i servizi collegati che questo comparto richiede.

La fabbrica e la città

In proposito una precisazione importante va fatta: al contrario di come alcuni osservatori disattenti anche a sinistra possono pensare, la possibile scomparsa di Mirafiori con ricaduta sul suo grande indotto, non riguarda solo il futuro di decine di migliaia di lavoratrici/tori, direttamente coinvolte/i, ma il futuro stesso della città e del suo assetto sociale. In passato i salari e il redditi, se pure modesti, garantiti dalla forte presenza del settore industriale, hanno permesso una migliore distribuzione della ricchezza prodotta, un minimo di equilibrio e solidarietà sociale e migliori condizioni di vita per tutte e tutti, ma anche e soprattutto una organizzazione collettiva e di classe garanzia di democrazia e di prospettiva di alternativa sociale.

La stessa dura sconfitta dell’autunno del 1980 e la prima conseguente forte riduzione degli organici avevano già fortemente cambiato il volto della città, diventato opaca e passiva, ma non ancora stravolto completamente l’organizzazione di classe, parzialmente ripresasi negli anni’90, tanto che agli inizi del secolo le lavoratrici e i lavoratori della Fiat (con un FIOM assai rinnovata) hanno impedito la chiusura di Mirafiori già preventivata dalla proprietà. Ma la successiva fase di offensiva padronale, combinata con le sempre più violente politiche liberiste dei governo e il moltiplicarsi delle norme sulla precarietà e della flessibilizzazione del lavoro, hanno determinato un effetto sociale devastante sul tessuto sociale della città. Da una parte il diffondersi del lavoro precario, ma anche la sostituzione dei salari industriali più alti con salari molto più bassi in settori come il terziario, (per altro di più difficile sindacalizzazione), hanno dato come risultato periferie povere e disperate e ridotto drasticamente le possibilità per i giovani e gli studenti di poter accedere a un posto di lavoro sicuro e decente.

La chiusura definitiva di Mirafiori significherebbe una città ancora più povera, un ulteriore aumento della precarietà e un futuro sempre più difficile per le giovani generazioni. E’ interesse della stragrande maggioranza delle classi lavoratrici e popolari che questo non avvenga. I disegni dei padroni della Fiat/Stellantis devono essere sconfitti.

E’ per questo che la nostra organizzazionesostiene con forza la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori di Stellantis, della Lear e di tutte le altre fabbriche che rischiano a breve la chiusura, volta a costruire un nuovo sviluppo occupazionale in tutto il settore.

I progetti di padroni e amministrazioni locali

Il quadro esterno è del tutto avverso: le forze dominanti, quelle sociali, la borghesia, ma anche le forze politiche che governano il Comune (il PD) e la Regione (le destre) puntano tutte a costruire lo sviluppo della città e del territorio sui grandi eventi che, a partire dalle Olimpiadi invernali del 2006 ha dato ben miserevoli risultati sociali ed occupazionali e un indebitamento pubblico che peserà per decenni, e prospettano oggi il futuro intorno alla costruzione della città dell’Aerospazio. In realtà si punta allo sviluppo dell’industria bellica. Infatti Torino è già oggi uno dei maggiori poli dell’industria bellica aerospaziale. La città dell’aerospazio, al di là della sua denominazione, sarà un centro di eccellenza militare promosso dal colosso Leonardo e dal Politecnico di Torino ospitando un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi  europei del Defence Innovation Acceleration for the North Atlantica, cioè una struttura della Nato.  Pochi dubbi sul fatto che si vuole inserire la città pienamente nella corsa al riarmo e nelle insane scelte guerresche che sta prendendo l’UE.

Costruire una alternativa

E’ una battaglia strategica quella per una politica alternativa di programmazione economica pubblica che assicuri occupazione, produzioni utili e non distruttive dell’ambiente, e tanto meno produzioni di guerra e di morte (che per altro hanno effetti  molto limitati sul piano occupazionale) socialmente sostenibili, operando le necessarie riconversioni produttive, ma evitando che i lavoratori ne rimangano vittime. Anche lo stesso passaggio all’elettrico che oggi è la scelta delle stesse organizzazioni sindacali pone molti problemi sia immediati strutturali, ma anche futuri di non facile individuazione ed ancor meno di facile soluzione. Sul fondo la necessità di una trasformazione che configuri sempre più il trasporto pubblico rispetto alle scelte private.

L’intervento pubblico deve quindi essere quindi per noi essere caratterizzato dal controllo delle/dei lavoratrici/tori e dal controllo sociale dal basso e integrato con il territorio, finalizzato cioè alla riconversione ecologica delle produzioni, allo sviluppo dello spazio urbano e della mobilità pubblica in senso ecosostenibile come indicato dalla lotta dei lavoratori e lavoratrici exGkn (non a caso oggi sotto attacco delle forze padroni che ne vogliono impedire la realizzazione): transizioni ecologiche vere, non quelle funzionali solo ad altri interessi economici privati.

Il primo obiettivo e che ogni stabilimento della multinazionale abbia un livello di attività produttiva consona a mantenere i livelli occupazionali, ma questo significa quindi anche distribuire il lavoro attraverso la riduzione giornaliera e settimanale dell’orario di lavoro a parità di paga.

L’alleanza sindacale e la solidarietà tra i lavoratori del settore auto, di tutti gli stabilimenti italiani, francesi, polacchi, tunisini, ecc. sono poi la condizione per poter reggere il confronto/scontro con Stellantis imponendo alla proprietà e ai governi le misure necessarie per garantire il lavoro e i diritti  fuori dal ricatto della  disoccupazione e della delocalizzazione.

Sul territorio torinese si sta lavorando per attivare tutte le lavoratrici e lavoratori direttamente coinvolte/i nel settore , ma anche tutti i settori sociali che comprendono la portata del problema e che sono disposti a costruire la necessaria convergenza sui comuni obiettivi e nella lotta concreta. Lo sciopero e la manifestazione del 12 aprile (alle ore 9 da Piazza Statuto) è nell’interesse di tutta la classe lavoratrice torinese, di tutte e tutti che abbiano successo, difendendo il lavoro e il reddito di decine di migliaia di persone e il futuro della città. La giornata del 12 aprile deve segnare un momento di svolta.