Una primavera sociale per riscrivere i rapporti di forza
Non si può che essere contenti se il governo delle destre è andato a sbattere contro le rocce della Sardegna ma il neoliberismo ha imbrigliato anche la democrazia e solo un movimento di massa ne potrà sprigionare di nuovo la carica emancipatrice per le classi popolari [Franco Turigliatto]
Non si può che essere contenti se la tracotante Meloni e l’inguardabile naviglio del governo delle destre sono andati a sbattere contro le rocce della Sardegna. Ogni avvenimento e ogni errore dello schieramento reazionario al potere che ne indebolisca la credibilità e la forza è un fatto positivo, soprattutto se favorisce una riorganizzazione delle forze antagoniste e suscita qualche speranza in più di poter costruire nel paese una opposizione sociale e politica alle scelte del governo e ai soggetti capitalisti che rappresenta.
Le considerazioni positive, compresa naturalmente la legittima soddisfazione della maggior parte delle cittadine e dei cittadini della Sardegna di non vedere un personaggio come Truzzu presidente della Regione, finiscono però qui; non solo perché una rondine (per altro assai piccola) non fa primavera, ma perché quel che serve non è solo e non tanto l’unità istituzionale ed elettorale delle forze della opposizione, per altro assai moderate e deficienti sul piano politico programmatico, nonché assai responsabili, per l’azione condotta nel passato e dal governo, del degrado politico del paese e della credibilità conquistate dalle destre, pur in condizione di minoranza, quanto un movimento sociale, politico e rivendicativo complessivo delle classi lavoratrici senza il quale non si va da nessuna parte e tanto meno verso una rinnovata primavera.
Inoltre il voto sardo stesso pone e riconferma una serie di considerazioni politiche democratiche essenziali. La prima è che metà dell’elettorato è così deluso, lontano e disinteressato dalla contesa elettorale che neppure va a votare, un vulnus democratico che non solo non si può ignorare come hanno fatto i media, ma che anzi deve essere sottolineato.
Rimandiamo in proposito alla lettura dell’articolo di Burattini.
Lo schieramento PD-M5S ha vinto per gli errori delle destre, per la capacità di Alessandra Todde di presentare la sua lista con un volto fresco e rinnovato, attenta alle problematiche di una regione storicamente vilipesa, ma ha vinto con uno scarto inferiore ai 2.000 voti e una percentuale di poco superiore al 45%: 330 mila votanti rispetto ai 1.447.753 cittadine/i aventi diritto al voto, cioè con circa il 22%!
Non è un fatto nuovo; esso caratterizza le “vittorie” di tutti i vincitori, quali essi siano, sia nelle elezioni politiche che in quelle regionali e comunali perché è il portato di sistemi elettorali messi in piedi dalle destre e dal centro sinistra nel corso degli anni, meccanismi profondamente antidemocratici, tesi a garantire la governabilità della classe dominante a scapito della legittima rappresentanza politica delle cittadine e dei cittadini. Un sistema che opera per escludere dalle istituzioni le minoranze politiche, anche quelle cospicue, e soprattutto una sinistra di classe antagonista.
Siamo ormai davanti a una democrazia “rappresentativa” che è solo un simulacro. Le destre estreme hanno potuto avvalersi di questo sistema elettorale, favorite anche dall’insipienza del PD e M5S, pur essendo una minoranza nel paese, per conquistare una egemonia numerica assoluta nel parlamento e esercitare un potere volto a costruire anche una egemonia politica ideologica in larghi settori di massa.
Per restare ancora al sistema specifico elettorale sardo, chi vince sopra il 40% anche solo con un voto di scarto, ottiene una maggioranza nel consiglio regionale del 60%; si arriva all’assurdo di escludere dalla rappresentanza anche una coalizione che non raggiunga il 10% o una lista che non superi il 5%. Non ci si può stupire che metà dell’elettorato giudichi del tutto inutile presentarsi ai seggi.
Ma queste considerazioni sulle leggi elettorali antidemocratiche ed anche anticostituzionali mettono semplicemente in luce il processo involutivo della democrazia borghese e delle sue istituzioni quali abbiamo conosciuto dopo la seconda guerra mondiale. Di fronte alle contraddizioni capitaliste e al liberismo imperante da anni è in corso una restrizione dei meccanismi democratici e non solo dei diritti sociali. Gli esecutivi, sempre più incontrollati e dominanti, prendono il sopravvento; la democrazia reale appassisce e anche quella rappresentativa diventa sempre più formale ed anche autoritaria. Dopo lo svilimento dei poteri parlamentari e l’avvento dei sistemi elettorali fasulli in atto, l’autonomia differenziata e il presidenzialismo/premierato sono la conclusione perniciosa di questo processo.
Tutto questo ci porta a una sola conclusione, che la vera partita, quella che attiene ai rapporti di forza tra le classi, sia politici che sociali, si gioca e si giocherà sul terreno della lotta sociale, della lotta di classe, tanto più che le estreme destre puntano a conservare il governo e a rafforzare la loro egemonia nella società non solo con la loro propaganda totalizzante e la divisione dei diversi settori delle classi lavoratrici, ma con il loro marchio di fabbrica, la politica del manganello e l’uso degli strumenti repressivi, quelli ereditati dai precedenti governi e quelli nuovi di di cui si sono dotati in abbondanza in questo 15 mesi.
Pertanto vogliamo concentrare la nostra attenzione sulla costruzione dei movimenti sociali ed in particolare sulla assoluta necessità di un movimento sociale e sindacale che riparta con forza dall’essenziale, dalla difesa del salario, dei posti di lavoro, sanità, scuola e welfare per tutti, contro la logica del profitto e, beninteso contro il riarmo e la guerra.
Le scadenze elettorali della prossima primavera saranno certo importanti, ma questa è la bussola con cui giudicarle ed affrontarle.