Dal partito di Lenin alla polizia di Stalin
Tutti i tentativi di accreditare la tesi della continuità Lenin-Stalin rimangono inevitabilmente confinati al terreno delle affermazioni propagandistiche, per l’impossibilità di sostenerle con una pur limitata documentazione storica. In quegli anni in URSS vi fu una vera e propria controrivoluzione politica [Antonio Moscato]
Dal partito di Lenin alla polizia di Stalin
di Antonio Moscato
(in Bandiera Rossa n. 1, 15 gennaio-15 febbraio 1971, pag. 6)
Molte forze sono interessate a presentare lo stalinismo come il proseguimento e il logico sviluppo del leninismo. Oltre, ovviamente, allo stalinismo, che ha cercato di utilizzare al massimo l’eredità prestigiosa della grande rivoluzione d’Ottobre, la borghesia e la socialdemocrazia hanno sempre tentato la stessa operazione per far risalire al leninismo la responsabilità dei crimini di Stalin. Recentemente un’analoga operazione viene ritentata da varie correnti piccoloborghesi di derivazione anarchica. I continuatori di Stalin, da Kruscev a Breznev, che per giustificare la loro lunga permanenza alla corte del tiranno banno dovuto inventare una grottesca spiegazione delle violazioni della legalità socialista, attribuendole al «culto della personalità» e in sostanza a «errori» soggettivi di Stalin, hanno tentato di circoscrivere in un tempo limitato questa fase della storia sovietica: è noto che Kruscev faceva partire dal ’34-’36 l’inizio del «culto». Da un lato quindi essi cercavano di scaricare tutte le responsabilità della burocrazia sulle aberrazioni di una persona sola, dall’altro giustificano la loro lunga collaborazione, accettando le scelte politiche di fondo dello stalinismo, e avallandone quindi le menzogne.
I dirigenti cinesi, che pure hanno sofferto non poco per la direzione stalinista del Comintern e che, sia pure con una certa discrezione, ne hanno parlato a più riprese (lo stesso Mao, con Edgard Snow), hanno compiuto un’operazione analoga a quella krusceviana (nella sostanza, anche se non nei termini). Nella loro polemica con I’URSS, pur attaccando giustamente molti di quegli aspetti che già Trotskij aveva denunciato trent’anni prima, li hanno disinvoltamente attribuiti agli epigoni di Stalin, presentando un quadro completamente deformato della società sovietica precedente il XX Congresso. Collocando il salto qualitativo della «restaurazione capitalistica» al momento del XX Congresso, non riescono in alcun modo a spiegare come è stato possibile a un partito «marxista-leninista» accettare di colpo la distruzione di quarant’anni di successi. Evidentemente i dirigenti del PCC vogliono in qualche modo giustificare il loro silenzio di decenni di fronte alla progressiva involuzione del primo Stato operaio.
Il risultato è un cumulo di menzogne, che da varia parte ostacolano la presa di coscienza delle nuove generazioni rivoluzionarie, che hanno invece la necessità di capire perché in questi decenni sono andati sprecati tanti eroici sforzi del proletariato rivoluzionario in tutto il mondo; e hanno la necessità, quindi, di studiare attentamente le esperienze del movimento operaio internazionale, senza deformazioni mitologiche.
Tutti i tentativi di accreditare la tesi della continuità Lenin-Stalin rimangono inevitabilmente confinati al terreno delle affermazioni propagandistiche, per l’impossibilità di sostenerle con una pur limitata documentazione storica. Non è dovuta al caso la crisi costante della storiografia sovietica, che non ha alcuno spazio nei confini stabiliti dalle «verità» di volta in volta ufficialmente sancite. Esemplare la sorte della Storia del PC (b) dell’URSS del periodo staliniano, che è stata modificata nel ’60, sfuggendo ad alcune delle più clamorose incongruenze con nuove ambiguità e imbarazzati silenzi.
Al «culto della personalità» di Stalin si è sostituito, ad esempio, un collegiale omaggio ad un «Comitato centrale leninista» di cui peraltro si nasconde la composizione. Non a caso: il CC che diresse il Partito bolscevico durante l’Ottobre era stato eletto al VI Congresso, nell’agosto ’17, ed era composto da 21 membri. Di questi, 7 sono morti di morte naturale (Lenin, Sverdlov, Dzerzinski, Artem, Kollontai e Stalin); due furono assassinati dalla controrivoluzione (Uritzki e Chaurnian); gli altri 11 caddero vittime del terrore staliniano: Trotskij assassinato all’estero da un sicario della GPU e 10 nelle prigioni staliniane (Zinoviev, Kamenev, Rykov, Bucharin, Miliutin, Krenstinski, Sokolnikov, Bubnov, Smilga, Berzin). Il ventunesimo, Muralov, è sparito senza lasciar tracce, liquidato probabilmente anche lui nel 1938.
Tra il 1918 e il 1921 il CC del partito era composto da 31 membri. Di essi 8 sono morti di morte naturale (Lenin, Dzerzinski, Sverdlov, Artem, Nogin, Stutchka, Stalin, Kalinin), uno è stato ucciso dalla controrivoluzione (Uritzki), 18 sono stati assassinati sotto Stalin (Zinoviev, Kamenev, Evdokimov, Smirnov, Trotskij, Radek, Serebriakov, Sokolkinov, Rykov, Bucharin, Rakovski, Bielogorodov, Smilga, Krestinski, Rudzutak, Bubnov, Miliutin e Preobrazenski), uno è stato spinto al suicido da Stalin (Tomski), uno è sparito senza lasciare tracce (Muralov), una è stata vittima del terrore staliniano ma è sopravvissuta (Stassova); uno solo è rimasto in vita ed è stato rieletto ancora nel CC del XX Congresso (Andreev).
Nell’ottobre del ’17 fu eletto per la prima volta un Ufficio politico del CC, composto da 7 membri: Lenin, Trotskij, Zinoviev, Kamenev, Sokolnikov, Bubnov e Stalin. Di questi solo Lenin e Stalin sono morti di morte naturale, gli altri 5 sono rimasti vittime del terrore staliniano. Fino al ’23 dell’Ufficio Politico hanno fatto parte 10 compagni: Lenin, Trotskij, Zinoviev, Bucharin, Stalin, Preobrazenski, Serebriakov, Tomski e Rikov. Di queste 10 persone, 8 sono state vittime di Stalin.
La conclusione è chiara: la grande maggioranza dei membri del Comitato centrale leninista sono stati eliminati sotto il regime di Stalin. La versione staliniana presentava questi rivoluzionari come agenti dell’imperialismo, spie, fascisti e hitleriani. Ne uscivano sminuiti però gli stessi meriti di Lenin, che si sarebbe circondato di canaglie controrivoluzionarie. Perciò, oggi, tutti coloro che vogliono coprirsi del nome di Lenin, ma non possono rompere con la sostanza dello stalinismo, tacciono pudicamente su questo aspetto. Eppure lo sterminio della maggioranza del CC leninista non può essere stato né un «deplorevole incidente» né un semplice capriccio di uno psicopatico. Tutto questo, invece, costituisce la dimostrazione più evidente di una colossale trasformazione politica che si verificò in URSS tra la fase di Lenin e il trionfo di Stalin: è difficile interpretare questi fatti se non concludendo che in quegli anni vi fu una vera e propria controrivoluzione politica.
Senza entrare qui negli aspetti politici di fondo su cui non manca una documentazione esauriente (1), è utile solo ricordare alcune circostanze che resero limitata l’opposizione leninista a quel processo all’interno del partito. Va soprattutto chiarito come fu possibile trasformare il partito di Lenin e Trotskij nello squallido partito burocratizzato in cui si vota sempre all’unanimità.
Da un lato agli inizi degli anni 20 erano delineati nel partito i riflessi dell’indebolimento complessivo della classe operaia, decimata dalla carestia, dispersa dalla paralisi della maggior parte delle fabbriche: mentre gli elementi migliori si battevano in prima linea nell’Armata Rossa, altri erano tornati ai villaggi di provenienza per sopravvivere e moltissimi erano entrati a vari livelli nell’apparato statale. La funzione dei soviet operai era evidentemente di fatto ridimensionata. Al tempo stesso il peso del corpo burocratico tendeva ad accrescersi, sia nello Stato che nel partito. Il cambiamento nella composizione stessa del Partito non tarda a verificarsi, ed è controllato ormai sempre più dall’apparato. Così nel periodo, intorno alla malattia e alla morte di Lenin avviene un profondo ricambio. Tra il ’22 e il ’24 Stalin dirige una campagna di epurazione che colpisce circa il 50% degli iscritti: neI ’21 erano 732.000, nel ’23 sono 386 mila (2). Quindi, anche ammettendo che in quel periodo non siano entrati nuovi iscritti, avremmo uno cifra di 346.000 espulsi. Questa campagna era iniziata con l’accordo di Lenin per escludere «gli imbroglioni, i burocrati, i disonesti, i comunisti incostanti» e soprattutto «il novantanove per cento di tutti i menscevichi che hanno aderito al PCR dopo il 1918, cioè quando la vittoria dei bolscevichi è diventata prima probabile e poi certa» (3). L’epurazione invece aveva rafforzato oltre misura il potere dell’ufficio di organizzazione e dell’apparato fedele a Stalin, nel quale cominciavano a comparire figure losche come Viscinski, avvocato borghese passato al menscevismo dopo la rivoluzione di febbraio e al bolscevismo dopo la fine della guerra civile, che sarà il pubblico accusatore di tutti i processi che negli anni ’30 elimineranno quei controrivoluzionari che avevano diretto il partito e lo stato durante l’Ottobre!
Subito dopo la morte di Lenin il numero degli iscritti viene riportato a 736.000 dalla «leva leninista» e per «aiutare i membri più giovani del partilo» a «comprendere il pericolo del trotskismo» in tale occasione si diede ampio sviluppo allo studio della storia del PCR (b) e del ruolo degli «agenti della borghesia nel movimento operaio». Il risultato di questa intensa opera di «educazione marxista leninista dei membri del partito, e in particolare di quelli ammessi con la leva leninista, che era considerata la riserva di quadri dirigenti da destinare agli organismi statali, economici, sindacali» fu che «il XIII congresso condannò all’unanimità la piattaforma dell’opposizione trotskista, definendola una derivazione piccolo borghese del marxismo e una revisione del leninismo». Il confronto tra l’edizione del ’38 della Storia del PC (b) dell’URSSS e quella kruscioviano, porta alla scoperta (forse sorprendente per certi recenti neofiti dello stalinismo) che sono proprio i kruscioviani a accentuare i toni apologetici nella descrizione degli anni ’20, presentando come un «chiaro indice della compattezza ideologica del partito» questa unanimità e affermando che nel “Testamento” di Lenin si dava «un giudizio finale sulla politica nefasta e traditrice di Trotskij», e che per questo il XIII Congresso, «in considerazione dei meriti di Stalin, della sua lotta intransigente contro il trotskismo» preferì non tener conto delle indicazioni di Lenin, lasciando Stalin al suo posto di segretario generale, perché «il suo esonero avrebbe potuto essere sfruttato dai trotskisti»! (Ediz. 60, vol. I, pp. 397-399) (4).
È da notare che mentre si portava avanti questa campagna velenosa di calunnie, non si aveva il coraggio di proporre l’esclusione di Trotskij dal CC! Per arrivare a questo, bisognava portare avanti più a fondo il lavaggio del partito: nel censimento degli iscritti effettuato nel 1927 «risultarono iscritte al partito 775.000 persone». «In 3 anni (1924-26) erano state ammesse al partito oltre 800.000 persone». (ed. 1960, vol. II, pag. 21). Nel ’24 erano 763.000: anche tenendo conto dei morti, almeno 700.000 compagni erano stati espulsi! Il partito era ormai pronto per il congresso di liquidazione legale delle opposizioni, il XV!
Non è difficile spiegarsi perché solo 4.000 iscritti, meno dell’1%, abbiano votato contro le tesi di Stalin nella prima ed ultima votazione su diverse piattaforme programmatiche permessa dopo la morte di Lenin. Per maggiore sicurezza, per giunta, il XV congresso non solo «dichiarò incompatibile con la permanenza nelle file del partito appartenere all’opposizione trotskista» ma «fece un’impantanante aggiunta allo statuto del partito: i membri che si rifiuteranno di rispondere sinceramente alle domande delle commissioni di controllo sono passibili di immediata espulsione dal partito». Ciò era reso necessario dall’atteggiamento dei membri della opposizione, i quali spesso si rifiutavano di dire la verità sull’attività antipartito dei trotskisti, e cercavano e cercavano di evitare le indagini per coprire la criminale attività degli scissionisti» (questa terminologia da Santa Inquisizione, che rivela la totale complicità con Stalin, è dell’edizione kruscioviana del ’60, vol. II p. 31).
È noto che per ridurre ulteriormente i rischi di un dibattito all’interno del partito i congressi, ancorché addomesticati e monolitici, furono diradati progressivamente. Dai congressi annuali del periodo 1917-’25, si passa a intervalli di 2 anni (tra il XIV e il XV), di 3 anni (tra il XV e il XVI), 4 anni (tra il XVI e il XVII), 5 anni (tra il XVII e il XVIII) fino ai 13 anni intercorsi tra il XVIII e il XIX.
Abbiamo intenzionalmente usato come fonte principale la Storia del PC (b) dell’URSS staliniana e la sua riedizione rappezzata dai continuatori di Stalin, per mettere in risalto che la verità traspare persino sotto questo cumulo di falsificazioni: la liquidazione del partito leninista, di cui rimane solo il nome, e la sua sostituzione con un docile strumento della burocrazia privilegiata, sono state portate a termine fin dal periodo ’23-’27.
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- Il testo fondamentale rimane ancora oggi La Rivoluzione tradita, integrata da altri contributi dello stesso Trotskij (soprattutto In difesa del marxismo) e della IV Internazionale, fino a quelli recentissimi di E. Mandel, Du ‘nouveau’ sur la question de la nature de l’URSS, in «Quatrième internationale» n. 45, sett. 1970 e di F. Charlier, URSS e Pays de l’Est: socialisme ou capitalisme?, Cahiers «Rouge», 1970. Una raccolta molto ampia dei fondamentali documenti della IV internazionale sullo stalinismo, l’URSS e le democrazie popolari è raccolta nel volume Dai processi di Mosca alla caduta di Krusciov, Edizioni Bandiera Rossa, 1965.
- Tutte le cifre sugli iscritti al PCR (b) sono tratte dalla Storia del Partito Comunista dell’URSS e sono pressoché identiche nelle due edizioni, quella staliniana del ’38 e quella kruscioviana del ’60. Si raccomanda vivamente la lettura di queste due edizioni (confrontandole) a tutti i neo-stalinisti comparsi nel movimento maoista. Tra l’altro scopriranno che il giudizio che i kruscioviani danno delle scelte politiche di fondo di Stalin (socialismo in un solo paese, collettivizzazione forzata) è sostanzialmente lo stesso dato dai cinesi o dai gruppi nostrani che hanno riscoperto Stalin in questi anni. Si veda come esempio l’esercitazione scolastica su Stalin del Circolo Lenin di Puglia, apparsa su Nuovo Impegno, e che nella valutazione dei periodi fondamentali dell’URSS staliniana finisce inconsapevolmente per coincidere con i giudizi kruscioviani (con l’unica eccezione delle purghe sanguinose, che la burocrazia sovietica ha dovuto condannare nel ’56 sotto la pressione delle masse e per la sua stessa sopravvivenza, mentre i compilatori pugliesi del 1970 possono tranquillamente ignorare).
- Lenin, Sull’epurazione, in Opere, vol. 33, pag. 29.
- I motivi che spingono i redattori dell’edizione kruscioviana della Storta del PCUS a presentare la politica degli anni venti in chiave più favorevole ancora dell’edizione staliniana sono evidenti: il loro modello è lo stalinismo senza i massacri degli anni Trenta. D’altra parte la stessa condanna di Stalin al XX congresso rimase metodologicamente stalinista, attribuendo la responsabilità di tutti i mali del passato a una sola persona, Stalin, e a pochi altri perfidi individui come «l’avventuriero politico» Beria, che «approfittando dei difetti personali di I. V. Stalin calunniò e mandò a morte molti cittadini onesti, fedeli al partito e al popolo» (op cit., vol. II, pag. 126). Tra l’altro, si assicurava, tanto Beria che il suo predecessore alla carica di commissario agli Interni, legiov, «furono esemplarmente puniti per la loro criminale attività» (ibidem). In sostanza la burocrazia sovietica, per evitare di essere coinvolta nel crollo dello stalinismo, cerca di circoscrivere il fenomeno agli aspetti più odiati dalle masse, come la repressione indiscriminata affidata agli arbitri della GPU, che d’altra parte aveva finito per ritorcersi persino sui più fedeli collaboratori di Stalin (basta pensare alla sorte della maggioranza dei delegati del XVII congresso, «il congresso dei vincitori», e dello stesso CC che uscì da esso: circa il 70% spari nel periodo ’36-‘37). I Krusciov, i Breznev, i Kossighin, nel loro vano tentativo di riformare dall’interno la società burocratizzata che hanno ereditato da Stalin, hanno cercato di realizzare nuovamente, e come soluzione stabile, il regime «ragionevolmente» autoritario che precedette i bagni di sangue (e che in realtà li rese in un certo senso «necessari»). La storia di questi anni ha dimostrato largamente la vanità dei loro sforzi: la mostruosa escrescenza burocratica non può essere curata con le riforme: deve essere amputata dalla rivoluzione politica!
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
J. Reed, I dieci giorni che sconvolsero il mondo (il libro che Lenin raccomandava alla lettura degli operai di tutto il mondo e che fu tolto dalla circolazione da Stalin). Varie edizioni, anche economiche, tra cui Longanesi ed Editori Riuniti.
Trotskij, Storia della Rivoluzione russa, Mondadori, 1969.
Lenin, Lettera al Congresso (il «Testamento»), in Scritti scelti, Ed. Riun.
Lewin, L’ultima battaglia di Lenin, Laterza, 1969.
Deutscher, Trotskij: Il profeta armato; Il profeta disarmato; Il profeta esiliato, Longanesi.
Carr, La rivoluzione bolscevica, 1917-23, Einaudi ’64; La morte di Lenin, l’interregno, 1923-24, ivi, ’65; Il socialismo in un solo paese 1924-25 (2 vol.), ivi, ’69.