Solo la convergenza delle lotte può fermare i piani di Meloni e Salvini

24 e 25 novembre: prosegue lo “sciopero scomposto” di Cgil e Uil e incrocia la mobilitazione dei movimenti transfemministi contro la violenza di genere

Ha preso il via lo “sciopero generale” di CGIL e UIL, uno sciopero “scomposto” costruito a puntate e diviso sul piano regionale che ha visto per prima la mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori del Centro Italia con la partecipazione di alcune categorie (pubblico impiego, poste, trasporti, ecc.) mobilitate sul piano nazionale. Nella stessa data era stato indetto da tempo dall’USB lo sciopero nazionale del pubblico impiego che questa organizzazione ha animato con proprie iniziative e manifestazioni a partire da quella di Roma. Nella stessa giornata ci sono state in molte città le manifestazioni degli studenti.

Un punto di partenza

Il giudizio che va dato su questa prima giornata di sciopero e di manifestazioni di piazza contestuali a un quadro complessivo di gravi difficoltà obiettive e soggettive, a partire dai colpevoli ritardi con cui le direzioni sindacali hanno deciso di provare a contrastare il rullo compressore delle politiche del governo delle destre, e in un contesto di consolidato arretramento complessivo della classe lavoratrice, segnato da demoralizzazione e sfiducia, non può che essere articolato. In primo luogo vogliamo però sottolinearne gli aspetti positivi e le potenzialità emerse nel cercare di ricostruire una mobilitazione via via  più ampia che ridia fiducia all’insieme della classe lavoratrice.

I dati dello sciopero non sono certo quelli trionfalistici che le direzioni di CGIL e UIL hanno voluto dare, che possono valere solo per alcune situazioni specifiche di luoghi di lavoro e di fabbrica. Le percentuali di adesione allo sciopero si collocano a un livello molto più basso, ma  in ogni caso indicano una parziale ripresa della partecipazione rispetto a scioperi analoghi degli anni passati. In altri termini, ci sono stati settori di lavoratrici e lavoratori, se pure minoritari, che hanno sentito la necessità di cambiare passo e di tornare alla lotta. E’ un segno positivo, una disponibilità da valorizzare, da cui partire per provare a invertire la tendenza dominante fino ad oggi alla passività e alla rassegnazione.

Questo giudizio è rafforzato dalle dimensioni delle manifestazioni che si sono prodotte, quella di Roma e di Firenze certo, ma anche quella di Torino del settore pubblico, poste ecc. che è stata assai superiore alle previsioni. Come già era percepibile nella manifestazione del 7 ottobre della CGIL in Piazza San Giovanni, ci sono settori – una volta si sarebbe detto di “avanguardia”- che vogliono reagire e che chiedono ai gruppi dirigenti sindacali un percorso di lotta vero, consapevoli della necessità di opporsi al deterioramento delle condizioni salariali, previdenziali e di lavoro e dei pericoli rappresentati dall’attuale governo.

L’attacco al diritto di sciopero

Il governo attraverso l’azione dei suoi detestabili personaggi, ci ha messo del suo per favorire questo processo di presa di coscienza, evidenziando sempre più la sua natura profondamente antioperaia e antidemocratica ben espressa dalla coppia Meloni e Salvini, nemici giurati della classe lavoratrice. E’ questa la sua natura e la sua funzione.

Costoro da sempre sanno che il loro nemico storico e principale è la classe lavoratrice, e che non sarà tanto la debole opposizione dai partiti istituzionali, quanto la forza sociale della classe alternativa a poter sconfiggere il disegno involutivo reazionario che stanno portando avanti.

L’attacco di Salvini al diritto di sciopero mostra cosa sono disposti a fare contro i lavoratori e dove sono disponibili ad arrivare.

Certo, costoro, hanno potuto usare disposizioni legislative che a suo tempo sono state volute ed accettate dai dirigenti confederali stessi, norme che sono state utilizzate già ripetutamente contro i sindacati di base senza che nessuno battesse ciglia o sollevasse proteste. I dirigenti sindacali confederali scoprono oggi che sono norme antidemocratiche. Bene. Per altro non è la prima volta che in Italia e altrove disposizioni di legge nate per colpire forze di destra, o in questo caso, forze sindacali radicali minori, quando cambia il vento vengano poi utilizzate contro organizzazioni di sinistra o contro organizzazioni sindacali assai più grandi e moderate.

Ma è proprio questo l’aspetto obiettivo che indica la gravità di quanto avviene. Oggi il governo delle destre, di fronte alla pur solo parziale attivazione della lotta delle direzioni CGIL e UIL, (la direzione CISL è del tutto appiattita sul governo e la sua manifestazione si presenta quasi come un atto di sostegno all’esecutivo) decide di mandare un segnale repressivo chiaro: “sappiate che siamo disposti a  utilizzare tutti gli strumenti per contrastare una ripresa ampia delle lotte operaie e sociali”. Un salto di qualità nello scontro di classe.

L’attacco di Salvini ha avuto una parziale risposta da parte dei lavoratori, favorendo una più forte partecipazione alle manifestazioni, ma l’aspetto positivo dell’avvenimento si ferma qua; infatti costui ha portato a casa il risultato desiderato, ha imposto la precettazione, con CGIL e UIL che hanno fatto marcia indietro riducendo gli orari dello sciopero dei trasporti, essendosi complicati loro stessi la vita con il loro sciopero “scomposto”. Per il governo è stato un test che gli ha permesso di stabilire un precedente molto pericoloso, che sarà usato in altre occasioni. C’è di che essere preoccupati.

Le troppe malefatte del governo Meloni

Ma c’è da essere preoccupati per molte altre cose che sta facendo il governo perché contestualmente a una finanziaria penalizzante per le classi subalterne e i settori più deboli della società si preannuncia una nuova brutale stagione di austerità, tra cui un ulteriore  feroce attacco al sistema pensionistico con la massiccia decurtazione degli assegni previdenziali erogati (non solo quelli futuri, ma anche quelli in essere) [*].

Ma poi ci sono tutti gli altri provvedimenti, a partire dal nuovo disegno di legge sulla sicurezza, veri e propri  veleni sociali e culturali immessi nel corpo di una società malata e segnata da terribili contraddizioni in cui si interviene non per sanare i mali prodotti dalle ingiustizie create dal sistema (la povertà assoluta attanaglia ormai 6 milioni di persone), ma per imporre una sua riorganizzazione sempre più repressiva e violenta all’insegna del più iniquo giustizialismo di classe:  “più galera per tutte e tutti”; gravissime sono le norme che rendono più facile incarcerare minori e donne in gravidanza o con figli piccoli, un sistema securitario infame che corrisponde perfettamente alle ideologie reazionarie degli eredi del fascismo e ai luoghi comuni di una piccola e media borghesia, bottegaia e affarista che difende con le unghie e coi denti i propri privilegi, minacciati non dai migranti, quanto dalla concorrenza capitalista. Le peggiori pulsioni da bar trasformate in leggi repressive assurde, Naturalmente però questo regime di repressione e galera deve valere per i deboli devianti e per le classi subalterne, non certo per gli esponenti della classe dominante, per i potenti e per i tanti evasori fiscali che costituiscono la base  elettorale delle destre.

Il nuovo decreto sulla sicurezza più lo si esamina e più è una barbarie giuridica e politica.

Per non dimenticare poi la micidiale combinazione tra il cosiddetto premierato, dell’uomo o della donna solo/a al comando che rimanda alle peggiori esperienze del passato che chiuderebbe la stagione democratica emersa dalla Resistenza e la legge sulla autonomia differenziata foriera delle peggiori divisioni sociali del paese.

Contro il dominio patriarcale

Né è pensabile che un governo così sfacciatamente patriarcale (Lega e Fdl si sono astenuti sulla Convenzione di Istambul contro la violenza sulle donne) possa fare qualcosa di buono e nella giusta direzione di fronte alla tragedia quotidiana che scuote il paese, di fronte alla tremenda violenza degli uomini sulle donne espressione di una società patriarcale e capitalista che miete ogni giorno nuove vittime nelle forme più strazianti, più che mai contraddizione di fondo ed irrisolta della nostra società.

Serve un’azione sociale di enormi dimensioni e a diversi livelli, a partire, beninteso dal fatto che non siamo davanti a un problema che riguarda solo le donne, che però ne sono le vittime, ma che il problema è la struttura patriarcale, la società basata sul dominio maschile, che richiede una vera e propria rivoluzione sociale e culturale.

 Il 25 novembre i movimenti femministi e tranfemministi scenderanno in piazza nazionalmente a Roma e a Messina

I movimenti delle lavoratrici dei lavoratori e le organizzazioni sindacali dovrebbero intrecciare i loro percorsi con questi movimenti da subito per costruire anche l’appuntamento dell’8 marzo, in cui la rivendicazione dell’autodeterminazione delle donne e delle persone LGBTQ+ passa anche per l’indizione di uno sciopero che si svolge da anni senza il sostegno dei maggiori sindacati.

Battere il governo con una mobilitazione prolungata

FDI e Lega, con la collaborazione di una Forza Italia in declino, sono un governo di estrema destra che costituisce un pericolo gravissimo per le classi lavoratrici.

Davvero non possiamo permetterci che vada avanti per la sua strada, non ci si può permettere 5 anni di un governo di questo genere che travolgerebbe il futuro delle classi lavoratrici e del paese.

Bisogna recuperare il tempo perduto, costruire una lotta dura e prolungata; serve una forte attivazione delle lavoratrici e lavoratori, superando la passività e la demoralizzazione. Più che mai i militanti sindacali, ma anche le forze politiche radicali e anticapitaliste devono fare un grande sforzo politico ed organizzativo perché in tutti i luoghi di lavoro si superi la rassegnazione ancora imperante per convincere tutte e tutte che da sole/i non si va da nessuna parte. L’unica strada che può permettere la difesa del salario, dell’occupazione e dei diritti, è la lotta collettiva.

Le nuove giornate di mobilitazione del 24 novembre nelle regioni del Nord, che coinvolgeranno i più importanti settori del settore industriale e poi quella del Sud del 1° dicembre, devono confermare e rafforzare la partecipazione sempre più ampia agli scioperi e la dimensione delle presenze in piazza, costruendo le condizioni di una lotta che resista nel tempo, capace di piegare il governo, dimostrando che è possibile intraprendere una strada diversa da quella seguita fino a oggi, cioè ricostruendo una egemonia alternativa in fasce più ampie della popolazione. Senza questo processo non si prosciuga il marcio stagno sociale e politico in cui si sono sviluppate le forze dell’estrema destra.

[*] Nell’analisi del dipartimento previdenza della Cgil e dello Spi, si calcolano tagli pesantissimi sulle pensioni nel biennio 2023-2024, che raggiungono 962 euro per una pensione lorda di 2.300 euro (netta 1.786), fino ad arrivare a 4.849 euro lorde per un importo di pensione lorda pari a 3.840 euro (2.735 euro nette).

[**] Scrive Massimo Cacciari in un ottimo articolo su La Stampa “L’inganno dell’ideologia carceraria”. “Caratteristica dei regimi reazionari è quella di ritenere che carcere e inasprimento “fisico” delle pene costituiscano il deterrente fondamentale per l’atto criminoso. E’ questo l’aspetto più odioso del giustizialismo… Che l’arcaica idea del “dente per dente , occhio per occhio” serva meglio a garantire la nostra sicurezza è forse retaggio delle zone più oscure del nostro cervello, ma non corrisponde per nulla alla realtà… Nella situazione attuale dovremmo piuttosto dire che il prolungamento delle pene, cioè la detenzione nelle patrie galere, è valido strumento per l’educazione al crimine”.

https://ilmanifesto.it/la-legge-penale-dura-con-i-deboli-e-il-ministro-che-non-ce

https://ilmanifesto.it/nasce-il-reato-di-lesa-maesta-carceraria