Lo sciopero generale: se non ora, quando mai…
di Franco Turigliatto
Rispondere alle politiche e alla legge finanziaria del governo Meloni attraverso la lotta e la mobilitazione sociale ampia e unitaria è un imperativo per la classe lavoratrice italiana e per le organizzazioni sindacali. Trovare la strada giusta e le soluzioni più efficaci non è però facile di fronte a una situazione complessa non solo perché il contesto generale è obiettivamente difficile e ampi settori di lavoratrici e lavoratori sono ancora passivi ed anche disorientati, ma anche perché dalle direzioni sindacali maggioritarie non è emerso un percorso di lotta ben definito nei contenuti, ma anche nei tempi; questi, nello scontro di classe, possono risultare decisivi.
Eppure la grande manifestazione del 7 ottobre che aveva attivato un settore molto ampio di lavoratrici e lavoratori disponibili a costruire una lotta efficace poteva e doveva essere utilizzata come un momento di abbrivio e di slancio per costruire lo sciopero generale. Dal palco il segretario della CGIL ha evitato di fare questa proposta su cui tutte e tutti i militanti sindacali presenti potessero lavorare nei giorni successivi, che sono invece tornati nei luoghi di lavoro senza indicazione alcuna.
Il governo è andato avanti indisturbato; la CISL ha mostrato le solite disponibilità di fronte alla legge del governo e la totale reticenza anche solo a ventilare una significativa mobilitazione. Nelle riunioni degli apparati della CGIL è cominciato a circolare la possibilità di indire lo sciopero generale per il 17 novembre, ma si è lasciato che fosse invece la UIL a uscire con una proposta di scioperi settoriali e parziali, più una rappresentazione che un progetto serio. Così è stata l’Assemblea Nazionale della CGIL, a dover giocare di rimessa sulle proposte altrui. Un’assemblea in cui tutte le grandi criticità della situazione sono state rilevate ed anche la gravità dell’attacco padronale e del governo, per altro richiamate nella mozione, ma che ha partorito infine un topolino, cioè una conclusione operativa del tutto subordinata che ancora rinvia il tempo del possibile sciopero generale.
Recita la parte finale del testo votato (contro cui si è espressa la minoranza di sinistra “Le radici del sindacato”):
“L’Assemblea generale valuta positivamente la proposta avanzata dalla UIL di sostenere le rivendicazioni unitarie avanzate dalle organizzazioni sindacali al Governo ed alle controparti datoriali avviando un percorso di mobilitazione comune con manifestazioni ed ore di sciopero. Pertanto, sulla base del mandato ricevuto, la Segreteria Nazionale della CGIL confermerà alla UIL ed alla CISL la piena disponibilità ad incontrarsi per una valutazione comune sulla fase e definire un percorso di mobilitazione con assemblee, manifestazioni e giornate di sciopero di tutte le categorie fino allo sciopero generale”.
Davvero un’attesa infinita che rischia di disperdere nel vento e nel tempo le potenzialità del 7 ottobre. Lo sciopero dei sindacati di base del 20 ottobre, che pure ha visto qualche parziale successo, non poteva certo sostituire la mobilitazione molto più larga che si deve costruire.
Intendiamoci: un percorso di scioperi di categoria e regionali avrebbe avuto un senso positivo con costruzione di assemblee sui luoghi di lavoro, di consenso e mobilitazione se cominciato fin dall’estate e proseguito alla ripresa autunnale perché avrebbe permesso ora, nel momento centrale della discussione della legge di bilancio, la realizzazione dello sciopero generale, unificante ed anche capace di coinvolgimento di associazioni e soggetti sociali i più ampi possibili, così come fu fatto nelle stagioni migliori della lotta sindacale e politica.
Con la tabella di marcia che forse uscirà dalle riunioni dei vertici sindacali, ma tutti sanno bene che la CISL metterà i bastoni tra le ruote e poi si sfilerà, gli scioperi settoriali di categoria e/o regionali si realizzeranno solo a novembre, difficilmente riuniranno ad essere unificanti ed efficaci di fronte a un governo che vuole marciare a tempi forzati nella approvazione della finanziaria senza particolari discussioni in sede parlamentare.
E’ una tempistica che nel migliore dei casi pospone la giornata di sciopero nazionale al mese di dicembre, guarda caso come negli anni scorsi, quindi a “babbo morto”, solo dimostrativo ed inefficace, una dimostrazione magari anche parzialmente di massa, ma simbolica che non impensierirà certo né la Meloni, che avrà già in tasca il risultato, né il padroni per quella parte di rivendicazioni sindacali a loro rivolta.
Non possiamo che esprimere un giudizio negativo sulle scelte dei gruppi sindacali e delle dinamiche che producono, davvero al di sotto del “minimo sindacale” .
Non sappiamo se questo comportamento della Direzione della CGIL è frutto di opzioni del tutto coscienti ed opportuniste o se invece derivano da insipienza politica e tattica, o forse da un loro mix, ma in tutti i casi costituiscono un fatto molto grave per l’insieme della classe lavoratrice.
Tutte queste osservazioni critiche sui gruppi dirigenti burocratici però non possono certo spingere alla rinuncia i militanti sindacali di classe, ma se mai devono sollecitarli sempre più a rafforzare tra i lavoratori una posizione alternativa radicale di lotta sui contenuti, sulle lotte, sui tempi della lotta e difendere la proposta, come ha fatto la corrente di opposizione di “Le radici del sindacato” per fare lo sciopero a metà novembre, cioè il 17 novembre; in quella data si potrebbe anche incontrare quelle lavoratrici e l lavoratrici del pubblico impiego che scenderanno in sciopero chiamate dall’USB, una delle organizzazioni sindacali di base.
La nostra organizzazione sosterrà tutte le mobilitazioni che saranno costruite ai vari livelli difendendo i nostri contenuti programmatici, ma anche proponendo un percorso coerente dei tempi della lotta.