Ultime dal femminismo nello Stato spagnolo: se acabó!
di Dolores Cruells Mercadé
Tutti (e tutte) sanno che il calcio è “cosa da uomini”. Non è certo l’unico -o il più importante- ambito di dominio patriarcale nella nostra società post-qualsiasi-cosa ma, a pensarci bene, non è argomento per scherzarci su, parlando di patriarcato. Il calcio è uno dei massimi spazi formativi dell’educazione “sentimentale” e simbolica degli uomini. Se non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Il calcio insegna fin da piccoli, e senza che ciò venga in alcun modo stigmatizzato (anzi!), l’amore compulsivo per i propri colori, l’odio per l’avversario, la tristezza e la gioia per le sconfitte e le vittorie, il rito dell’attesa spasmodica e il travestimento, addirittura la violenza (fisica e più sovente verbale). Insomma, un compendio delle passioni umane coniugate al maschile in un contesto di assoluta e sfrenata competitività. Non a caso, e dovrebbe essere materia di riflessione aggiuntiva, è anche uno degli spazi collettivi dove maggiormente si formano e si perpetuano gli atteggiamenti razzisti e omofobi.
Cosa succede quando in questo spazio così essenziale per la costruzione psichica e ideologica maschile entrano le donne? Succede che si può rompere tutto, o perlomeno incrinare seriamente.
Il calcio delle donne (il cosiddetto “calcio femminile”) ha conosciuto uno sviluppo esponenziale in questi ultimi anni, e non solo in Europa. Per essere più chiare: non si tratta solo di alcune donne che si dedicano al calcio professionalmente in veste di giornaliste (carriera quanto mai complicata e mal vista quella della cronista sportiva!) o di ricercatrici universitarie. Si tratta di donne che giocano a calcio, lo fanno professionalmente e lo fanno anche piuttosto bene. Esattamente come gli uomini. È proprio questa, in realtà, una delle chiavi dell’enorme successo e sviluppo del calcio delle donne. Il gioco femminile è -ancora- una cosa pulita, sentita, bella da vedere dal punto di vista della qualità calcistica, senza dive e milioni di euro di mezzo. Tant’è vero che il pubblico di questo sport annovera moltissimi uomini, forse addirittura la maggioranza: si respira aria nuova negli stadi, in un momento in cui il calcio, quello degli uomini, è sempre più un luogo corrotto e in mano alla finanza internazionale, iper-tecnicizzato, in cui la passione “popolare” rischia di venir dirottata su eroi robotizzati che giocano in Arabia Saudita o a Dubai. Forse mi lascio trascinare un po’ dalle parole, ma credo che la tendenza sia questa.
I numeri mi vengono in aiuto: secondo la UEFA, in Europa giocano a calcio, nel senso che appartengono a qualche federazione, più di 2 milioni e mezzo di donne e le giocatrici professioniste sono più di 3.000, ma più di 7.000 sono le allenatrici qualificate (anche se solo 600 con la licenza A della UEFA). Anche se sono difficili da calcolare, gli introiti derivati da questo sport in tutte le voci -sponsor, sovvenzioni, diritti televisivi, ecc.- ammontano negli ultimi tempi a qualche miliardo di dollari in tutto il mondo, pur essendo una cifra irrisoria rispetto ai proventi del calcio maschile. Si calcola che gli ultimi mondiali femminili di calcio in Australia siano stati seguiti da centinaia di milioni di spettatori in tutto il mondo. La finale è stata seguita in Spagna, il paese vincitore, da quasi sei milioni di persone, registrando un 65,7 % di share televisivo. Insomma, quali siano le cause, le donne sono arrivate al mondo del calcio e ci resteranno con forza.
Solo un bacio?
Questo lungo preambolo vorrebbe introdurre -e in parte spiegarne le radici- il terremoto che ha scosso la società spagnola (in modo particolare le donne) dopo la finale dei Mondiali di calcio femminile in Australia. La storia ha fatto il giro dei media del pianeta: il presidente della Federcalcio spagnola, Luis Rubiales, durante la cerimonia della consegna delle medaglie alle calciatrici, afferra una di loro, la centrocampista Jenni Hermoso, per la testa e le impone un bacio sulle labbra piuttosto scomodo per la giovane. Resosi conto che il gesto prepotente e coercitivo (Rubiales è il superiore gerarchico massimo della giocatrice, è bene ricordarlo) è stato visto in diretta da milioni di telespettatori, nel viaggio di ritorno in Spagna sia lui che l’allenatore della nazionale e altri dirigenti della Federcalcio cercano di convincere, con le buone o con le cattive, la giocatrice ad avallare la versione ufficiale di un bacio “consentito”, di un eccesso gioioso dovuto all’euforia del momento, di un gesto magari un po’ machista ma genuino, spontaneo e innocente. Jenni non ci sta e cominciano i guai per Rubiales. Guai che, peraltro, il presidente si procura da solo. Il giorno dopo, invece di chiedere scusa, in un’intervista radiofonica inveisce conto i giornalisti -e le giornaliste- che taccia di stupidi e peggio. Qualche giorno dopo, in un’assemblea della Federcalcio (in cui tutti si aspettano le sue dimissioni), pronuncia un discorso particolarmente rozzo contro il femminismo e le donne, promettendo euro a palate e prebende ai suoi collaboratori più stretti, che l’applaudono a più riprese, rifiutando chiaramente di dimettersi.
Decine di migliaia di donne iniziano a scendere in piazza in tutto il paese per chiedere l’allontanamento di Rubiales dalla Federcalcio e soprattutto per esprimere solidarietà a Jenni Hermoso, vittima della prepotenza maschilista e di un abuso di potere particolarmente odioso. Nasce così il “¡Se acabó! (è finita!)”, una mobilitazione che ha molti tratti in comune con il “Me Too” nordamericano. Ma, insieme alla mobilitazione delle donne (non solo in piazza: è stata importante la complicità delle giornaliste, sportive e no) c’è stata la determinazione e l’abilità “tattica” delle stesse giocatrici che, grazie ad una relazione di forza favorevole e irrepetibile, cioè la vittoria ai Mondiali e il prestigio che ne è derivato, sono riuscite in pochi giorni a piegare non solo Rubiales ma l’intera Federcalcio, la cui direzione ha dovuto in gran parte dimettersi. D’altra parte, questa vicenda non solo è servita a smascherare la prassi maschilista e paternalista delle istituzioni calcistiche nei confronti delle donne che osano giocare allo sport degli uomini, ma anche a mettere a nudo un ricettacolo mafioso di corruzione, di milioni di euro poco chiari (che datano dai Mondiali in Dubai dell’anno scorso) e di pratiche sportive e di potere troppo disinvolte. Il lupo perde il pelo ma non il vizio: il precedente presidente della Federcalcio spagnola, Ángel María Villar, è stato condannato nel 2017 per corruzione e ha trascorso addirittura qualche tempo in gattabuia. Ma evidentemente il potere mediatico, economico e anche politico, che sfugge ovviamente a qualsiasi controllo democratico, relazionato col calcio spagnolo è un obiettivo troppo ambito per spaventare i più con qualche mese di carcere.
Le frontiere del femminismo
Anche se può sembrare che un bacio fuori luogo sia un pretesto un po’ frivolo per scatenare una lotta femminista di questa portata, c’è da dire che si è trattato soprattutto di una concatenazione di fatti simbolici che hanno messo in risalto l’oppressione di genere in un terreno specifico come quello dello sport e del calcio. Da tempo le calciatrici e le associazioni femministe denunciano gli abusi, il paternalismo, la violenza, i salari infimi (soprattutto se paragonati con quelli maschili), le condizioni umilianti di vita e persino di gioco (trasferte non rimborsate, viaggi scomodi e avventurosi, vessazioni i di ogni tipo) addirittura della Nazionale. La cartina di tornasole di tutto ciò è che la solidarietà delle giocatrici professioniste di tutto il mondo alle compagne spagnole si è manifestata fin dal primo giorno con dichiarazioni e gesti a volte clamorosi e soprattutto che anche in altri paesi si stiano denunciando con forza le stesse cose. Parlando di frivolezze, non so se a qualcuna (o qualcuno) può dar fastidio il fatto di scomodare il femminismo in ambiti così estranei ed elitisti come il calcio. Il problema è che le cose del mondo non sempre vanno per la strada maestra che abbiamo in testa e il fatto che un universo così maschile, retrogrado e portatore di contenuti patriarcali come il calcio è stato messo -anche per un solo momento- in crisi da un gruppetto di giovani donne coraggiose (e femministe, tra l’altro) mi sembra un fenomeno tutto sommato importante. E che è ormai entrato a formar parte della nostra storia, la storia delle donne.