La lotta a Napoli per la difesa del Reddito di Cittadinanza

Il movimento napoletano per la difesa del RdC si inserisce in una situazione politica ed economico-sociale complessa e problematica. Napoli è al primo posto per numero di ex percettori. Ai circa 21.500 a cui il RdC è stato sospeso il 28 luglio, bisogna aggiungere altri 5.000, ai quali l’assegno è stato revocato nel mese successivo. [Sinistra Anticapitalista Napoli]

In tutti i Paesi europei, dove l’area del disagio sociale va allargandosi, esiste da tempo uno strumento di contrasto della povertà, denominato ed erogato in modo eterogeneo, fondato sulla necessità di non mettere in pericolo l’ordine pubblico. Secondo il FMI nel 2018 la Ue ha speso in sussidi di questo tipo il 3,4% del Pil. Se l’Italia (insieme alla Grecia e all’Ungheria) è arrivata buon’ultima ad introdurre una misura del genere, il motivo risiede nel modello italiano di welfare che, come in altri Paesi mediterranei, ha una forte impronta familistica. In questo modello la famiglia, tra i suoi diversi ruoli, é una istituzione produttrice di welfare, facendo fronte ai bisogni sociali che la spesa pubblica non copre, soprattutto attraverso il lavoro domestico non remunerato delle donne. Se nella stagione riformista degli anni 1970 lo Stato ha fornito una parte cospicua dei servizi sociali necessari (salario indiretto), permettendo ad un gran numero di donne di andare a lavorare fuori casa, nell’epoca del neo-liberismo trionfante gran parte di questo welfare è stato scaricato nuovamente sulle famiglie. Perquesto le donne ex percettrici del RdC sono le più determinate, spesso le vediamo a Napoli alla testa del movimento per la difesa del RdC, perché senza quell’assegno – sia pure modesto – sarà per loro ancora più duro riprodurre la vita e gli equilibri familiari.  

Il RdC italiano è stato istituito nel 2019 dal governo Conte 1, in parte per la spinta interna della componente del Movimento 5 Stelle più sensibile alle tematiche sociali, in parte perché il provvedimento si prestava fortemente al loro successo elettorale. Infatti a Napoli nelle ultime elezioni politiche le periferie hanno votato massicciamente per i 5 Stelle, mentre la destra ha vinto per lo più a Posillipo e a Chiaia-San Ferdinando, vale a dire nei quartieri della borghesia.

Ragioni elettorali diverse hanno guidato Meloni alla decisione di abolire il RdC, tenendo fede alla promessa fatta ai settori di piccola imprenditoria imprenditrice che incontravano qualche difficoltà nell’impiego di lavoratori a basso (o bassissimo) costo. Ma l’ideologia delle destre, per cui la povertà è una colpa – chi è disoccupato non vuole lavorare – è stata divulgata in una becera campagna rivolta anche alla classe lavoratrice più “garantita” contro “i fannulloni” che, invece di darsi da fare, “se ne stanno sul divano”, cercando di gettare sabbia sul residuo sentimento di appartenenza di classe o, almeno, quel senso di solidarietà che è naturale che ci sia tra tutti coloro che vivono vendendo la propria forza-lavoro, senza i privilegi dei ceti più abbienti.

Ai “fannulloni” non sono state trasferite grandi somme. Il RdC ha avuto molti limiti di applicazione a causa degli stringenti requisiti soggettivi e patrimoniali richiesti, non ha mai coperto tutta l’area della povertà assoluta che, al termine della fase covid, riguardava in Italia oltre 5 milioni e mezzo di persone, in maggioranza concentrate al Sud.

Dal 2019 al 2023 la spesa annuale dello Stato è andata diminuendo fino ai circa 8 miliardi erogati nell’anno 2022, secondo l’Osservatorio Inps, per il Reddito e la Pensione di Cittadinanza per quasi 1 milione e 685 milafamiglie (1.685.161) e un totale di circa 3 milioni e mezzo di persone (3.662.803), con un assegno medio di 551,11 euro. Nel Sud si trova il maggior numero di famiglie coinvolte (il 61% del totale), in particolare in Campania con 353.795famiglie (quasi quanto l’intero Nord) e 877.115 persone coinvolte, con un assegno lievemente più alto della media (617,16). Questo perché il Mezzogiorno ha un concentrato molto più rilevante di problemi sociali. Senza addentrarci qui nella spinosa questione delle contraddizioni territoriali nell’unitario modello di sviluppo del capitalismo italiano, le analisi dell’Istat e della Svimez mostrano che negli ultimi venti anni il Pil pro-capite del Sud si è mantenuto intorno alla metà (55-58%) di quello del Centro-Nord, mentre il tasso di disoccupazione nel 2021 è al 14,3%, quasi 3 volte quello del Nord (5,1%).  l tassi specifici di disoccupazione giovanile e femminile sono notevolmente superiori alla media italiana ed europea. Ne è seguita una ripresa dell’emigrazione di massa che sta generando uno tsunami demografico.

Ogni indicatore economico nel Mezzogiorno ha andamenti più sfavorevoli. il trend che vede i salari italiani perdere di potere d’acquisto – per l’abolizione della scala mobile e la moderazione salariale praticata dai sindacati confederali – è ancora più grave nel Mezzogiorno dove, dal 2008 al 2022,  i salari hanno perso il 12% di potere reale, mentre nel Centro-Nord la perdita è stata contenuta al 3%.

I dipendenti con retribuzione lorda oraria inferiore ai 9 euro l’ora sono il 25,1% contro il 15,9% del Centro-Nord. Gli occupati con contratto a termine sono il 22,9% contro il 14 % del Centro-Nord. Il part-time involontario riguarda circa il 75% dei dipendenti, contro meno del 50% nel Centro-Nord.

A proposito del lavoro nero, le cifre ufficiali dicono che si è fortemente ridotto il lavoro totalmente clandestino: tuttavia in molti settori, dall’agricoltura al commercio e all’edilizia, le imprese spesso praticano il part-time per coprirsi da eventuali controlli ma i lavoratori assunti con un contratto di lavoro dipendente di tre-quattro ore giornaliere, in realtà di ore ne fanno almeno il doppio in nero, ad un salario orario nettamente inferiore ai 9 euro.

In questo quadro ha preso corpo a Napoli il movimento per la difesa del RdC.

Nel novembre 2022, si è formata una rete di militanti per il “diritto al reddito”, a cui la nostra organizzazione ha partecipato, che ha svolto un lavoro di controinformazione e propaganda nei quartieri popolari; la mobilitazione di massa piùvisibile è iniziata alla fine del mese di luglio, quando in Italia 169.000 percettori i su un totale di 615.000 persone (appartenenti a 436 famiglie) hanno ricevuto sul cellulare il messaggio di sospensione del RdC da parte dell’Inps, una comunicazione brutale accompagnata da un vago riferimento ai servizi comunali a cui dovevano rivolgersi i casi di maggiore fragilità (mentre nessun comune ha fondi e personale in grado di intervenire).

Napoli è al primo posto per numero di ex percettori. Ai circa 21.500 a cui il RdC è stato sospeso il 28 luglio, bisogna aggiungere altri 5.000, ai quali l’assegno è stato revocato nel mese successivo.

Questi percettori, tra i 18 e i 59 anni di età, sono stati definiti “occupabili” (se privi di minori, anziani o inabili a carico)  e ad essi spetterà un sussidio di 350 euro al mese (cioè meno di quanto ricevevano per il RdC) solo per 12 mesi, a patto di iscriversi ad una complessa piattaforma elettronica (tutto lavoro per i Caf) e frequentare corsi di formazione. L’”occupabile” deve rivolgersi a 3 agenzie private, che nel dispositivo hanno un ruolo più importante dei Centri per l’impiego,  e perderà ogni beneficio al primo rifiuto dell’occupazione proposta, non sappiamo quanto congrua con le sue condizioni (“non sia choosy” disse Fornero tempo fa a un inoccupato).

I corsi di formazione non sono stati ancora istituiti. In ogni caso non saranno finalizzati, una volta terminati ciascuno si dovrà arrangiare, in un tessuto economico che offre solo una esigua quantità di lavoro sottopagato e svalutato. Le Regioni e i Comuni, che dovrebbero prendersi carico di una parte degli iscritti alla piattaforma, finora non hanno dato risposta.

Il movimento napoletano degli ex percettori è un soggetto politico diverso dalla classe lavoratrice “garantita” inquadrata dai sindacati e dalla sua posizione di fronte al processo produttivo.  Le caratteristiche peculiari di questo strato sociale frammentato e disomogeneo lo hanno portato ad organizzarsi in diversi comitati “spontanei”, che comunicano tra loro con il passaparola su social media come TikTok, in cui spesso affiorano atteggiamenti individualistici da “capopopolo” e influenze ideologiche della classe dominante, a cui questo proletariato é maggiormente esposto.

Solo una piccola parte dell’ampia fascia sociale colpita dall’abolizione del RdC si mobilita e partecipa alle manifestazioni e alle diverse iniziative di lotta: questo si spiega in parte con le difficoltà connesse alla fase politica che attraversiamo, in parte con il meccanismo stesso del RdC, un contributo modesto che ha spinto le persone ad usarlo come integrazione del loro lavoro quotidiano super-sfruttato e mal pagato.

Questo movimento potrebbe crescere, per le oggettive condizioni di disagio sociale.

La ministra del lavoro Calderone, nel presentare la piattaforma su cui ciascuno deve iscriversi ha affermato che il governo, abolendo il RdC, non ha preoccupazioni di innescare una bomba sociale, perché “dati i numeri, la situazione è gestibile”.  L’affermazione suona ironicamente: “Siete in pochi, non ci fate paura”

ma il riferimento ufficiale era ad una idea che Meloni ha diffuso con le sue videoconferenze registrate, in cui diceva che l’economia è in ripresa, anche nel Mezzogiorno sta crescendo, sarebbero in vista centinaia di migliaia di nuove assunzioni ecc….affermazioni subito smentite dalle cifre recenti relative all’andamento delle tendenze economiche trimestrali.

In realtà le condizioni generali dell’economia non sono affatto promettenti, il ciclo economico è debole e l’inflazione alta. Un certo aumento degli impieghi c’è stato recentemente sia nelle costruzioni, grazie al bonus edilizio voluto dai governi Conte, sia nei settori stagionali dell’agricoltura, dell’industria della trasformazione di prodotti agricoli e del turismo, spesso al nero, ma bonus e aiuti di Stato non sono moltiplicatori della crescita economica.  Nel Mezzogiorno rimangono e si aggravano i problemi storici: gli elevati tassi di disoccupazione, l’alto livello di povertà e di esclusione sociale, la scarsa dinamica della domanda di forza-lavoro, mentre gli investimenti in opere infrastrutturali previsti inizialmente nel PNRR per il Sud saranno stornati, come il ministro Fitto ha annunciato.

Il governo lo sa, lo sapevano i governi precedenti, che una bomba sociale è innescata e può esplodere. Per questo nell’ultimo quadriennio lo Stato ha erogato a livello nazionale 270 miliardi di euro in bonus economici e contributi vari, al fine di fronteggiare gli effetti della crisi da covid, i rincari delle bollette di luce e gas, in gran parte arrivati nelle regioni meridionali ai redditi più bassi. Oggi Meloni torna a promettere bonus per il caro bollette e per il caro benzina: così lo Stato cerca di anestetizzare le tensioni sociali, senza risolvere i problemi ma contrastando l’autorganizzazione delle masse nei momenti più caldi.  I bonus sono erogazioni individuali una tantum, non diritti collettivi esigibili, nell’ottica di distruggere ogni traccia rimasta di un sentire comune come classe o, almeno, come categoria sociale.

Noi pensiamo che è necessario che crescano i livelli di coscienza di questo movimento di ex percettori nel comprendere ciò che sta accadendo. Il governo Meloni, come quelli che lo hanno preceduto, attacca le masse popolari al Nord e al Sud aumentando il divario tra le classi, da un lato taglia il sussidio alla povertà e la spesa sanitaria, dall’altro aumenta le spese militari, riduce le aliquote fiscali per le fasce alte di reddito, prevede condoni fiscali agli evasori; nel frattempo continua sotterraneamente la marcia del ddl Calderoli verso l’autonomia regionale che provocherà la rottura del sistema unitario nazionale dei diritti e delle politiche territoriali e sarà un altro e grave salasso per i servizi nel Mezzogiorno, che ricadrà su chi non può permettersi il ricorso ai servizi privati;  si prepara una trasformazione della Repubblica parlamentare in Repubblica presidenziale, ciò che ridurrà i residui spazi di democrazia e di mediazione istituzionale, lasciando gli interessi delle masse sempre più marginali o strumentalizzati.

Per affrontare la controparte in questa guerra condotta su più fronti, sarebbe necessaria una stagione di mobilitazione generale su diversi terreni, al Sud e al Centro-Nord. Perciò, nel comunicato di adesione alla manifestazione del 28 agosto che abbiamo diffuso come circolo di Napoli di Sinistra Anticapitalista, abbiamo proposto un’assemblea cittadina con la partecipazione delle organizzazioni politiche radicali e dei sindacati combattivi sui temi non del solo RdC ma sui vari aspetti del disagio sociale.

Allo stesso tempo la Rete cittadina per il diritto al reddito, propone la partecipazione alla manifestazione nazionale indetta dalla Cgil di Landini a Roma per il 7 ottobre “per il lavoro, contro la precarietà, per la difesa e l’attuazione della Costituzione, contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della Repubblica parlamentare”.  Noi aggiungeremo la rivendicazione del salario sociale per i senza reddito e un’idea di mobilitazione che non si limiti alle rappresentazioni simboliche di poche ore, preferibilmente il sabato per non disturbare la produzione, come fanno Landini e gli altri confederali.