Dentro una buia sera di mezza estate

di Franco Turigliatto

Molto alta deve rimanere l’attenzione sull’agire del governo Meloni che anche nell’ultimo mese ha confermato il suo progetto reazionario e involutivo di trasformazione della società italiana sul piano economico e politico, ma anche sul terreno ideologico, cioè sulla configurazione del “comune sentimento” dell’opinione pubblica, per oscurare definitivamente quel sentimento democratico e antifascista e di generica ispirazione di giustizia sociale che per molti decenni ha attraversato il paese dopo la seconda guerra mondiale.

Questa considerazione non vuol dire che il tentativo di Fdl e compari di costruire un vero blocco sociale e politico storico egemone di estrema destra revanscista con una dura e anche violenta gerarchizzazione tra classe dominante e classe subalterne non conosca alcune contraddizioni e parecchie difficoltà riassumibili in quattro elementi:

  • la concorrenza interna e i contrasti tra le diverse componenti della maggioranza specie in relazione alle future vicende europee;
  • il rapporto con la grande borghesia capitalista;
  • la difficoltà a padroneggiare in modo conseguente ed efficace certe scelte economiche a partire dal processo inflattivo e dalla nuova fase di politiche di austerità che si annunciano;
  • e infine, beninteso, le contraddizioni sociali espresse dai movimenti, cioè il rapporto con le classi lavoratrici che pagano il prezzo di un accresciuto sfruttamento e della precarietà del lavoro,  dei salari e redditi.

Le direttrici di marcia delle destre estreme e fascisteggianti

Il maggior successo, che le garantisce una consistente stabilità, Meloni l’ha ottenuto in politica estera, grazie alla scelta di totale internità al blocco imperialista occidentale, rafforzato dal recente viaggio negli USA e dal viatico di Biden e alla partecipazione alla corsa al riarmo, su cui esiste una forte convergenza delle forze economiche e di quelle politiche maggiori.

Spettrale, cinica, razzista ed inumana è la politica sulle migrazioni del governo, condotta di comune accordo con gli altri governi europei, con cui si cerca invano di spostare le frontiere europee nei paesi nordafricani, affidando a loro i compiti più sporchi, lasciando infine che sia il mare a decidere della sorte di chi fugge fame e guerre, ostacolando in mille forme chi cerca di portare soccorso, in una strage senza fine che fa del Mediterraneo il più grande cimitero esistente.

Contemporaneamente i migranti sono sia indicati come capri espiatori di fronte alle contraddizioni della società, sia utilizzati come lavoratori privi di diritti e tutele, allargando (sotto il silenzio stampa) gli stessi flussi migratori ufficiali per la richiesta impellente delle imprese italiane, ma anche dei vari padroncini razzisti di disporre di manodopera a buon mercato.

Con l’abolizione del cosiddetto reddito di cittadinanza è l’insieme dei settori più deboli e precari della società ad essere non solo penalizzati e spinti alla disperazione, ma anche colpevolizzati, cioè considerati responsabili della loro sorte miserevole che è invece un prodotto diretto della società capitalista. Anche questo è uno strumento per dividere le classi lavoratrici costruendo una gerarchia sociale in cui ogni settore delle/dei lavoratrice/tori che ha ancora qualche tutela o diritto, consideri e accetti sempre più la sua precaria stabilità, a scapito di chi è al di sotto e rinunci a una comune lotta solidale e unitaria contro i padroni e le loro organizzazioni imprenditoriali e di partito.

Il rifiuto dell’istituzione del salario minimo va nello stesso senso. Si vuole mantenere una vasta area di lavoro precario e ultra sottopagato, che permetta alla più importante base sociale delle destre, la piccola e media borghesia, di sfruttarlo fino in fondo e di continuare a fare profitti reggendo la concorrenza in un sistema economico sempre più costringente e dominato dal grande capitale.

La ratio, lo spirito di classe e la concezione che hanno le destre della società si esprimono fino in fondo nella recente legge delega votata dal parlamento sulla “riforma” del fisco; si tratta di una progetto di controriforma che rimanda all’”ancien regime”, che non solo garantisce e protegge ogni sorta di capitalista e di evasore fiscale, ma che a regime avrebbe un effetto dirompente sulle risorse dello stato e quindi sulla spesa pubblica e sociale, una vera e propria bomba a grappolo lanciata contro le classi lavoratrici.

Al contrario non c’è misura del governo che non offra qualche regalo alle sue lobby e clientele. Vedasi anche l’articolo di Brancaccio sul manifesto

Coloro che hanno questa concezione di società gerarchizzata non potevano certo preoccuparsi del Sud, delle regioni meridionali, che vengono violentemente colpite non solo per le misure di cui sopra, ma dalla riduzione decisa dal governo dei fondi del PNRR.  Sono queste regioni che subiranno i colpi più duri in termini di servizi e strutture sociali che dovevano essere finanziate con questi investimenti. Sono queste regioni che saranno ancor più colpite a morte se il progetto dell’autonomia differenziata arriverà a compimento.

Il bullo Salvini e i suoi soci “offrono” al Sud, e alla Sicilia in particolare, il baraccone del ponte sullo Stretto con tutti i discutibili e prevedibili annessi e connessi.

E’ in questo quadro di scelte economiche e sociali così chiaramente penalizzante le classi subalterne che Meloni e Salvini, dimentichi della loro, per altro fasulla etichetta di “destra sociale”, hanno sentito la necessità di proporre una misura propagandista “popolare” come la parzialissima tassazione dei “superprofitti” delle banche per cercare di nascondere un poco la loro vera natura. Ma subito hanno dovuto fare una confusa e vistosa marcia indietro richiamati all’ordine dai loro padroni e dai giornali borghesi di “opposizione”; in fondo non sono altro che dei parvenu politici, arrivati al governo per una serie di circostanze particolarmente favorevoli e come effetto delle dure sconfitte subite dalla classe lavoratrice negli ultimi venti anni.

Continuità e connubi

Ma sarebbe impossibile comprendere appieno quello che sta avvenendo complessivamente nel paese e i pericoli connessi se non si prendesse in esame l’operazione politica ideologica “strutturale” che l’estrema destra sta conducendo e che l’anniversario della strage di Bologna ha messo chiaramente in evidenza.

Costoro provano a riscrivere la storia, anzi a negare la storia del paese, il micidiale connubio tra apparati dello stato e forze fasciste che ha attraversato e martoriato la vita politica e sociale italiana, volta a bloccare i grandi movimenti di lotta sociale e di trasformazione a partire dalla fine degli anni ’60. Vogliono appunto cancellare quella religione civile, democratica, progressista e in una fase anche socialista, che è stata così forte nel nostro paese; pensano di poterlo conseguire nel crollo della coscienza di classe, nella demoralizzazione e confusione presente, nella mancanza di alternativa; sperano di poter consolidare i loro successi (anche se parziali) politici ed elettorali nella costruzione di una nuova opinione pubblica maggioritaria reazionaria che rinverdisca storie ed ideologie fascisteggianti, come per altro sta avvenendo in tanti paesi del mondo con l’emergere delle forze dell’estrema destra.

Si è esplicitato quindi con forza nei comportamenti complici di ciascun soggetto delle destre, di fronte alle uscite più o meno improvvide di qualcuno di loro, (ma forse erano dei ballon d’essai per saggiare il terreno per manovre successive) il legame profondo, le complicità e il sostegno reciproco che lega tutti loro. Stiamo parlando delle loro radici nella storia e nel ruolo del MSI, delle intersecazioni mai interrotte tra le destre in “doppiopetto”,come si diceva una volta, e le forze fasciste e terroristiche protagoniste delle stragi. E naturalmente il connubio profondo e la loro internità con gli apparati dello stato mai individuati fino in fondo. Tutti elementi che segnalano nubi inquietanti anche per il futuro, tanto più se, come speriamo, le lavoratrici e i lavoratori sapranno rialzare la testa. Gli strumenti repressivi legislativi a disposizione della classe dominante per altro sono tanti e già ci sono alcuni segnali preoccupanti per gli atti di repressione delle lotte sociali e di certe forme di dissenso.

Inoltre sarebbe sbagliato ritenere che l’operazione negazionista sulle stragi fasciste non produca elementi di confusione a livello di massa nonostante la pur forte reazione antifascista di diversi soggetti sociali e politici.

Per essere chiari: non siamo ancora davanti a una marcia trionfale delle forze delle destre, ma certo la debolezza e l’inconsistenza, sia politica che sociale delle opposizioni maggiori, il PD di Schlein e il M5S di Conte (non parliamo neppure delle forze del cosiddetto centro), lascia ampi margini di azione e di recupero al governo Meloni, anche quando opera qualche mossa sbagliata. I sondaggi elettorali che continuano a collocare FdI poco sotto il 30% delle intenzioni di voto di chi si pronuncia lo confermano.

Verso il 7 ottobre

Sul piano sociale qualcosa di potenzialmente consistente invece si muove e vogliamo che si materializzi al più presto diventando il protagonista dello scontro di autunno.

Sono infatti numerosi i segnali di resistenza e di lotte parziali sia sui temi del lavoro, dei diritti ed ambientali, compresi quelli di settori giovanili che temono giustamente per il futuro dello stesso pianeta. E cresce anche la consapevolezza che occorre costruire una lotta politica contro questo governo e le sue attività. Più che mai per trovare le condizioni di costruzione di un vasto movimento è necessario tenere insieme le rivendicazioni economiche sociali con quelle dei diritti e quelle più propriamente politiche, sapendo che oggi è grande la confusione ed anche la demoralizzazione in vasti settori popolari e che la realizzazione degli scioperi stessi è quanto mai ardua.

La manifestazione di fine giugno a Roma sul tema della sanità ha segnalato la possibilità di sviluppare in autunno una mobilitazione ampia e forse anche efficace; una prima importante verifica sarà  la manifestazione nazionale del 7 ottobre organizzata da più di 100 associazioni con un ruolo decisivo e trainante della CGIL. Deve avere un grande successo di massa.

La nostra organizzazione la sostiene e partecipa alla sua organizzazione.

Parallelamente sosteniamo e partecipiamo alla assemblea nazionale di “Ci vuole un reddito” del 23 settembre.

Gli organizzatori del 7 ottobre avevano posto al centro giustamente soprattutto la lotta contro la famigerata e distruttiva “autonomia differenziata”. Negli ultimi passaggi della propaganda hanno dato maggior rilievo alla parola d’ordine della Costituzione, elencando poi i contenuti sociali attraverso cui questa si deve estrinsecare, cioè i famosi principi sociali che in essa sono indicati, ma che, come è noto sono stati, in parte applicati e realizzati solo con le grandi lotte degli anni ‘60 e ’70, salvo poi essere dispersi da decenni di politiche succubi delle logiche capitaliste, per altro gestite molte volte da quelli che oggi si propongono a parole di difendere la Costituzione contro la destra. La Costituzione non è più quella del ’48 e tanto meno quella reale degli anni ’70; è stata già fortemente manipolata a partire poi dallo stravolgimento del Titolo Quinto voluto dal centro sinistra agli inizi di questo secolo, che rende oggi possibile il progetto obbrobrioso dell’autonomia differenziata e dalla modifica dell’articolo 81 che introduce il pareggio di bilancio votata da quasi tutto il parlamento nel 2012 che nei fatti impedisce un coerente ed organico programma di riforma sociale.

Siamo quindi, certo, per difendere i principi democratici e sociali che si ritrovano in molti articoli della Costituzione, ma questi devono concretizzarsi non in una formula generica, ma in precisi obiettivi, a partire proprio dal rigetto dell’autonomia differenziata e del presidenzialismo, da un ampio programma di rilancio della sanità e della scuola pubblica, da una vasta offensiva salariale per la difesa delle classi lavoratrici e del diritto a un reddito per tutte/i.

Infatti la costruzione di una forte opposizione al governo delle estreme destre e di un blocco sociale di classe alternativo, non può avvenire solo sulla base di una generica opinione pubblica progressista, ma soprattutto attraverso la solidarietà collettiva espressa in lotte su precisi contenuti materiali ed economici.

Per questo si pone il problema delle lotte operaie e sindacali senza le quali non è possibile costruire una rapporto di forza adeguato contro gli strumenti che sono a disposizione del governo e dei padroni, favorendo la polarizzazione sociale  dei settori più deboli e dispersi.

La costruzione degli scioperi

Tuttavia il problema degli scioperi e della loro riuscita non è oggi di facile soluzione; per questo anche i dirigenti sindacali molto ne parlano, ma anche tanti sono i timori che, date le condizioni di partenza e i deboli livelli di coscienza di classe, questi possano fallire e quindi tramutarsi in un boomerang.

Diciamo subito che se si è arrivati a queste difficoltà la responsabilità è proprio delle direzioni sindacali che da anni hanno praticato politiche di subordinazione alle scelte dei governi e dei padroni, alimentando demoralizzazione e disinteresse all’azione collettiva. Per di più di fronte a questo governo, contro cui bisogna lottare, le direzioni sindacali, invece di denunciarne fin da subito con estrema forza, la natura e i progetti, per mesi gli hanno dato credito,  sostenendo che occorreva verificare quanto avrebbe fatto e accontentandosi di inutili tavoli di confronto. Tutto il contrario di quel che andava fatto per creare le condizioni per attivare una lotta ampia ed efficace. La costruzione delle lotte sociali, pretende oggi una coerenza totale che non è certo negli intenti delle direzioni sindacali burocratiche, (non parliamo neppure della CISL che sta svolgendo piuttosto una funzione di vero intralcio), ma della stessa CGIL che pure percepisce che l’evoluzione della situazione rischia di colpire insieme ai lavoratori, anche il suo apparato e quel che gli resta di credibilità a livello di massa.

Cacciare il governo, battere i padroni

Inoltre non è pensabile che anche se si arrivasse a uno sciopero generale, compreso un suo successo, obiettivo centrale a cui si deve lavorare con molta decisione e forza nei prossimi mesi, da solo possa modificare i rapporti di forza. Non può essere concepito come un fatto isolato e dimostrativo come sono in tanti burocrati a pensare. Dovrà essere solo un episodio di una mobilitazione ben più consistente e duratura senza la quale è impossibile sperare di piegare questo governo e chi gli sta dietro, cioè la classe padronale.

La classe lavoratrice non può “permettersi” il governo Meloni e tanto meno se lo può permettere per 5 anni  ben sapendo quale tipo di società società ci ritroveremmo dopo un così lungo periodo. Dobbiamo cacciare presto le destre, variamente estreme, dal governo del paese. E solo la lotta intransigente per la difesa dei propri interessi e condizioni di salario e di lavoro della classe lavoratrice, di tutte/i le/i oppresse/i e sfruttate/i possono determinare le condizioni della sua cacciata.