Migranti, Meloni brinda all’Europa che si blinda
L’UE si accorda su un meccanismo per la detenzione, il “trattamento accelerato” e il rimpatrio alle “frontiere esterne”, adottando il modello dei famigerati “hotspot” [Fabrizio Burattini]
Nei giorni scorsi, il consiglio europeo ha raggiunto un parziale accordo su un progetto di “redistribuzione” dei migranti tra i diversi paesi che dovrebbe, dopo la ratifica nel parlamento di Strasburgo, affiancare le norme già concordate (all’inizio di giugno) sul “sistema europeo di asilo”.
L’obiettivo della riunione è stato più in generale quello di mettere a punto e attuare entro la primavera del 2024 il Patto europeo sulla migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione europea nel settembre 2020.
Ovviamente la premier italiana Giorgia Meloni, vista la rilevanza che la questione dell’immigrazione riveste nel programma del suo governo di estrema destra, non poteva non cercare di avere un ruolo di primo piano in questa occasione.
In Italia si è parlato soprattutto delle vicissitudini della presidente del consiglio nel tentare di coinvolgere nella condivisione del piano per la redistribuzione anche i suoi amici polacchi ed ungheresi e del non esserci riuscita.
Così come si è parlato della paradossale dichiarazione con cui ha commentato l’esito negativo di quel tentativo (“Sulle migrazioni siamo riusciti davvero a cambiare punto di vista, … ma non sono delusa mai da chi difende i propri interessi nazionali”). Come per dire: “io ho cercato di convincere Viktor Orban e Mateusz Morawiecki a difendere gli interessi nazionali italiani, ma loro sono ungheresi e polacchi e, com’è giusto, difendono i loro”. Evidentemente sottintendendo che gli altri 20 paesi che hanno sottoscritto con lei il “patto” non difendono i propri interessi.
Non dimentichiamo l’altro “amico” di Giorgia Meloni, il governo greco di destra di Kyriakos Mītsotakīs, che, proprio per “difendere gli interessi nazionali” ellenici, qualche settimana fa ha dato istruzioni alla sua guardia costiera di cercare di trainare verso le acque territoriali italiane un traballante peschereccio carico di migranti, provocandone colpevolmente il ribaltamento e l’affondamento con la conseguenza della morte di almeno 600 donne, uomini e bambini.
Una pratica di “respingimento di fatto” che sembra abituale per le autorità greche e che ha fatto sì che persino l’agenzia europea Frontex minacci di lasciare la Grecia.
Naturalmente, degli interessi dei migranti nessuno si fa portavoce a quei consessi.
Il cuore dell’accordo è un meccanismo per la detenzione, per il “trattamento accelerato” (cioè un più rapido rifiuto dell’asilo) e per il rimpatrio dei migranti alle “frontiere esterne della UE”, adottando il modello dei famigerati “hotspot”.
Dunque l’Unione fa suo in modo sempre più formale e condiviso tra i suoi membri un approccio repressivo e securitario per il “contenimento” e per l’espulsione dei migranti, a scapito di qualunque politica di accoglienza.
Si rafforza perciò l’edificio di norme volte a fortificare ulteriormente l’Europa arginando e selezionando l’immigrazione, restringendo ulteriormente i già esigui canali legali di mobilità, con la conseguenza diffondere ulteriore clandestinità e insicurezza.
E’ per queste scelte politiche che 180 organizzazioni di difesa dei migranti, in una dichiarazione collettiva, hanno affermato che quel naufragio è stata “la diretta conseguenza delle decisioni politiche prese per impedire alle persone di arrivare in Europa. Le politiche europee in materia di migrazione ed esternalizzazione sono responsabili delle violenze fisiche e psicologiche subite dai migranti, della loro detenzione e della loro morte”.
L’esempio greco mostra come per raggiungere il suo obiettivo, l’Unione Europea non esita a coprire le operazioni di respingimento illegali alle sue frontiere e apre il portafoglio a beneficio dei regimi più brutali, ai quali delega il lavoro sporco di tenere a bada gli esuli: le autorità mafiose della Libia, la Turchia dell’autocrate Erdogan e il dittatore tunisino Kaïs Saïed.
I risultati di questa politica sono terrificanti.
In dieci anni, 27.000 uomini, donne e bambini hanno perso la vita nel Mediterraneo, considerando solo i naufragi di cui si ha notizia. A questo triste bilancio va sommato quello della rotta delle Canarie, estremamente pericolosa ma sempre più popolare, che si stima abbia registrato quasi 8.000 vittime tra la fine del 2018 e il novembre 2022, ultimi, per il momento, i circa 30 dispersi del 22 giugno, nel naufragio di un gommone che si è rovesciato al largo della Gran Canaria grazie all’inerzia delle autorità spagnole e marocchine.
Il Patto UE sulla migrazione e l’asilo darà un ulteriore giro di vite a questa politica omicida. Non è dunque un caso che Giorgia Meloni, nella sua più recente versione “europeista” ne sia entusiasta.