Stato Spagnolo. Una marea di destra contro un progressismo in declino

Dopo la vittoria del blocco neoconservatore e reazionario, la risposta di Pedro Sánchez davanti all’euforia dei suoi avversari è giunta il giorno dopo, anticipando al 23 luglio le elezioni politiche, previste in realtà per il prossimo dicembre [Jaime Pastor da Viento Sur]

A caldo, si possono trarre facilmente due conclusioni dalle recenti elezioni amministrative nello Stato spagnolo: c’è stata una chiara vittoria del blocco neoconservatore e reazionario e una sconfitta politica del PSOE. La risposta di Pedro Sánchez davanti all’euforia dei suoi avversari non poteva quindi farsi aspettare troppo e infatti è giunta il giorno dopo, anticipando al 23 luglio le elezioni politiche, previste in realtà per il prossimo dicembre.

In questo mode, e ancora una volta, il premier socialista, dopo aver riconosciuto l’errore di essersi adattato al quadro politico in ambito statale determinato e imposto dal blocco di destra nella campagna elettorale, ricorre alla sua nota abilità tattica per sferrare un colpo di scena imprevisto, confidando una volta di più nella dea Fortuna. Entriamo così in una nuova fase, in cui la posta in gioco è se definitivamente si produrrà un mutamento di ciclo o, al contrario, se la resilienza dimostrata finora da Sánchez continuerà ad affermarsi in questa nuova prova, senza dubbio assai più complicata delle precedenti, tenendo presente oltretutto che si sviluppa nel contesto di una vera e propria marea neoconservatrice in tutta Europa.

Sembra evidente che, rispetto alla scadenza annunciata del 23 luglio, sia Feijóo (il lider del Partido Popular, N.d.T.) che Sánchez tenteranno di ridurre il confronto elettorale ad una polarizzazione bipartisan, cosa che evidentemente non favorirà il già legalizzato Movimiento Sumar che, pur non essendosi presentato alle amministrative, non ne esce indenne, principalmente per la sconfitta della più importante alleata di Yolanda Diaz, Ada Colau (a questo punto, l’ex sindaca di Barcellona, N.d.T.), nelle elezioni al comune di Barcellona. E non andrà meglio neppure a un Podemos ancor più indebolito, come avremo modo di vedere più avanti.

Nei fatti, Sánchez si appellerà al voto utile contro il PP-Vox a scapito di una confluenza di formazioni politiche (tra cui Izquierda Unida, En Comú, Más Madrid e Compromís) che difficilmente saranno in grado di contrastare questa pressione con un profilo unitario. Il Movimiento Sumar è un nuovo tentativo di movimento-partito che sembra comunque intenzionato a continuare a scommettere sulla riproduzione del modello di un governo di coalizione progressista che non ha nemmeno mantenuto le promesse fondamentali del suo programma di governo (come, tra le altre, l’abrogazione delle riforme del lavoro di Rajoy e Zapatero e della cosiddetta legge bavaglio, o una riforma fiscale progressiva) e che, se si formasse, avverrebbe in una correlazione di forze ancora peggiore rispetto alla legislatura precedente.

Una marea che trae vantaggio dalla decomposizione di Ciudadanos

In realtà, ciò che accaduto il 28 maggio ha confermato la tendenza al rialzo del PP prevista dai sondaggi (tranne quello del Centro de Investigaciones Sociológicas – sarebbe il nostro ISTAT, cioè l’istituto pubblico di statistica, N.d.T.) grazie, soprattutto, al fatto che è riuscito a conquistare una parte significativa dei voti di Ciudadanos (Cs), partito praticamente scomparso, e alla sua capacità di attrarre parte del voto di Vox, soprattutto nella regione di Madrid, dove ha ottenuto la maggioranza assoluta. Anche così, la differenza di voti fra PP e PSOE alle elezioni amministrative su scala nazionale, con un’affluenza alle urne del 63,96%, non è così grande da assicurare una vittoria automatica del PP alle elezioni politiche: il 31,51% contro il 28,11%. Sono percentuali che permettono però al più grande partito della destra di conquistare il governo di molte città importanti (fra queste, quelle importanti di Valencia contro Compromís, di Siviglia contro il PSOE o di Cadice contro Adelante Andalucía) e, soprattutto, di Comunità Autonome, che ha tolto al PSOE il controllo della regione di Valencia, l’Aragona, le Baleari, l’Estremadura, la Rioja e la Cantabria. Anche se in alcune di queste il PP dovrà pagare un caro prezzo per avere l’appoggio di Vox, una formazione che, anche se ha acquisito un certo peso municipale con il 7,19% dei suffragi, è rimasta molto lontana dai tre milioni e mezzo di voti che aveva ottenuto alle ultime politiche del 2019. In tutti i casi, condizionerà la governabilità di ben sei Comunità autonome e di 30 capitali di provincia.

La grande eccezione alla vittoria raggiunta dal PP, come segnala Petxo Idoiaga, è stata nei Paesi Baschi e in Navarra, dove Bildu -che è stato l’unico favorito dalla campagna contro l’ETA scatenata dal PP e soprattutto da Ayuso (la presidente della Comunità autonoma madrilena, N.d.T.)-, ha registrato una sensibile ascesa che minaccia la tradizionale egemonia del PNV. Invece, Unidas Podemos è scomparso dai parlamenti regionali di Madrid, di Valencia e delle Canarie e da molti comuni, fra cui quello della stessa Madrid, esce da cinque governi regionali e resiste solo in 17 capitali di provincia. Un disastro che, a partire da subito, lo obbliga a rassegnarsi ad essere un attore secondario nel progetto di Yolanda Diaz. Bisognerà vedere se la confluenza fra queste formazioni finirà bene e, in caso affermativo, fino a che punto verrà condiviso un discorso comune nel corso di una campagna elettorale che li obbligherà ad una maggior differenziazione rispetto al PSOE.

Un caso a parte è quello della Catalogna, dove la dimensione statale ha favorito il PSOE e ha pregiudicato Esquerra Republicana nei confronti di Junts per Catalunya. Questa formazione ha fatto appello stavolta all’immagine nostalgica della vecchia (e scomparsa) Convergència, personificata con successo dal candidato a sindaco di Barcellona, Xavier Trias. La CUP, da parte sua, anche se non è riuscita ad entrare al comune di Barcellona, ha raggiunto -in coalizione- il secondo posto a Gerona e si mantiene come quarta forza politica in numero di consiglieri comunali in tutta la Catalogna.

Ritorna la centralità dei due grandi partiti?

Mettendo al centro del dibattito questioni estranee alla realtà politica e sociale (come la denuncia delle alleanze del sanchismo con “comunisti, separatisti e terroristi” o agitando il fantasma dell’ETA dodici anni dopo la sua scomparsa, insieme ai classici come la sua concezione penale ultra-sanzionatoria) rispetto ai problemi locali e regionali (come la crisi della sanità, dell’educazione o delle abitazioni, o la lotta contro l’inflazione), il PP è riuscito ad installare nella coscienza collettiva l’immagine di un regime in bancarotta, di una Spagna in pericolo e di una insicurezza generalizzata che gli ha permesso di vincere le elezioni. L’allegria per la vittoria raggiunta in questo primo round, come abbiamo già detto, è però durata poco. Personaggi importanti e dirigenti del PP (con l’ex presidente Aznar in testa) non hanno potuto nascondere il loro disappunto nei confronti della decisione di Sánchez, dato che li costringe ad affrontare una specie di ballottaggio in tempi molto più brevi di quelli che pensavano e in cui avrebbero approfittato meglio il potente appoggio mediatico di cui dispongono o l’usura del governo di coalizione progressista, ora più illegittimo (secondo loro, ovviamente) che mai.

Ma hanno fatto in fretta a scegliere lo slogan con cui affronteranno la campagna elettorale: “O Sánchez o la Spagna!”. Così vedremo ancora una volta Feijóo, con Ayuso che gli spiana la strada, ricorrere allo spettro di una rottura dell’unità della Spagna -che non esiste e non esisterà mai nell’agenda del PSOE- come agglutinante del suo programma neoliberista, autoritario e reazionario, al servizio della trama del potere oligarchico che rappresenta.

Di fronte a questi avversari e a questi obiettivi, Sánchez non sembra abbia molta voglia di trasformare il 23 luglio in un plebiscito a suo favore ma piuttosto di cercare una vittoria che gli permetta di evitare il ricorso ad alleanze scomode alla sua sinistra. In questo modo, cercherà di calmare il malessere dei baroni territoriali del PSOE sconfitti, tentando di rafforzare l’immagine di un partito di Stato e di competere senza complessi con le destre. Del resto, è un gioco che non gli è nuovo, ma adesso cercherà nuovi ed ulteriori ribassi su temi come la lotta alla crisi climatica, la politica fiscale, il diritto alla casa o la mal denominata sicurezza e, evidentemente, manifestando la sua disposizione ad applicare i tagli dettati dalla Commissione europea o ad obbedire a una NATO sotto la direzione statunitense. Non sarebbe neppure da scartare che la sua aspirazione, comune col PP, a recuperare se non il sistema bipartito, almeno la centralità di entrambi i partiti nell’ambito statale, non porti entrambe le forze dopo il 23 luglio a cercare un accordo su una riforma elettorale alla greca, cercando di imporre quell’alternanza che è stata sepolta nel 2015. E tutto ciò per garantire la stabilità di un regime che, nonostante la fine del ciclo aperto dal movimento degli indignados e dal sovranismo catalano, continua pieno di crepe, dovendosi confrontare con turbolenze globali di grandi dimensioni; soprattutto con una accumulazione di malessere sociale che potrebbe generare future rivolte come quelle che si stanno sviluppando in Francia o in Gran Bretagna.

Frenare le minacce delle destre cambiando rotta

Non sarà certo con un nuovo spostamento a destra del PSOE che si potrà frenare la marea della destra. L’esperienza di questi ultimi tre anni, esattamente come quella vissuta in altri paesi, l’ha già dimostrato: come abbiamo sostenuto nell’ultimo numero di Viento Sur, i nuovi progressismi possono essere, citando Modonesi, una “diga temporanea”, un male minore di fronte al blocco reazionario, ma non sono in grado di “chiudere le contraddizioni di fondo” che spiegano l’ascesa di questo blocco.

Con questo panorama, la situazione di “pace sociale” che le direzioni di CCOO e della UGT hanno mantenuto durante questa legislatura e che hanno rinnovato col recente patto con l’organizzazione padronale spagnola (vedi l’articolo di Mikel de la Fuente e Josu Egireun) non sembra che aiuterà molto una mobilitazione da sinistra. Difficilmente, pertanto, si creeranno condizioni favorevoli per superare il quadro bipartisan della campagna elettorale e, soprattutto, per far apparire nella stessa un progetto autonomo e alternativo che ponga al centro questioni così fondamentali come la lotta contro il cambiamento climatico, contro la precarizzazione delle nostre vite o il riconoscimento della realtà plurinazionale dello Stato, o il rifiuto di un razzismo strutturale che, come abbiamo visto recentemente, è giunto alle sue peggiori espressioni non solo alla nostra frontiera meridionale ma anche sui campi di calcio.

In questo contesto, la sinistra anticapitalista deve anch’essa assumere una parte di responsabilità nella situazione di sconfitta collettiva in cui ci troviamo e che la porta ad essere praticamente assente come alternativa politica alle prossime elezioni. Ciò non significa che debba ignorare la necessità di contribuire ad impedire la vittoria del blocco delle destre, dato che non possiamo sottovalutare la minaccia che significherebbe il suo accesso al governo dello Stato, con il conseguente attacco ai diritti civili e sociali fondamentali (in primo luogo, contro le persone immigrate e le donne) e il rafforzamento della cosiddetta democrazia militante, disposta addirittura ad mettere fuori legge una parte dell’attuale arco parlamentare. Detto questo, dovrebbe affrontarlo da una posizione autonoma e critica che, a sua volta, cerchi di convergere con i movimenti sociali e le forze politiche a sinistra del PSOE in un processo di rimobilitazione sociale contro le politiche neoliberiste e neoconservatrici, da qualunque parte provengano e chiunque governi.

In tutti i casi, siano quali siano i risultati delle elezioni del 23 luglio, si preannunciano tempi duri: tocca resistere alla minaccia dell’autoritarismo reazionario ma anche a quella di un bipartitismo sistemico che si sta rafforzando e cercare, in alternativa alle due cose, nuove vie di confluenza e radicamento fra gli strati popolari che aiutino ad offrire un orizzonte di speranza di reale cambiamento. A tal fine, sarà necessario affidarsi al lavoro imprescindibile e paziente delle reti di solidarietà dei quartieri e dei luoghi di lavoro, che consentano un maggiore radicamento sociale intorno a una cultura della mobilitazione e della solidarietà che rimetta al centro il conflitto sociale e la difesa di una vita dignitosa in un pianeta abitabile di fronte al capitale.

Jaime Pastor è un politologo ed editore di Viento Sur