Mps, così si “salva” una banca mandando a picco i lavoratori

La vicenda di Montepaschi, un affare per Unicredit e un mare di esuberi e mobilità per chi ci lavora. Gli scheletri nell’armadio di Draghi. La passività dei sindacati. Eppure nazionalizzare Mps potrebbe essere una soluzione [Marcantonio Russo]

La scure dei licenziamenti di lavoratori, preannunziata da Draghi con il tacito assenso dei sindacati confederali, non riguarda solo gli operai della produzione, ma riguarda anche altri settori a cominciare da quelli del credito. In particolare, per il gruppo bancario Montepaschi si è giunti ad un punto di crisi decisivo, ineludibile.

Le condizioni di difficoltà in cui si trova ora Banca Monte dei Paschi di Siena spa, risalgono a molto tempo fa: il Ministero Economia e Finanza, detiene il 64% delle azioni, quindi è  socio di maggioranza. L’attuale piano industriale (2017/2021) prevedeva uno snellimento dei costi della Banca: contemporaneamente alla chiusura programmata di alcuni sportelli in tutto il territorio nazionale si procedeva all’uscita volontaria di un certo numero di colleghi prossimi alla pensione, che avrebbero percepito una indennità di circa 80% stipendio, fino ad arrivare all’età pensionabile e quindi passare in carico all’INPS. Si stimava che il numero degli esuberi fosse  intorno a 900 unità. Qualche giorno fa si è espressa la “dimostrazione di interesse” direttamente al Ministro delle Finanze, da parte di Unicredit. Questa che sembrava una notizia interessante, si è rivelata, invece, una minaccia terribile per i lavoratori.

Si è in una situazione di attesa, un limbo per tutti i lavoratori che tuttora subiscono ristrutturazioni, eliminazioni di uffici accorpati con altri, aggiornamenti procedure informatiche, “semplificazioni” (definite così dalla direzione aziendale con un termine usato anche dal Governo nell’ambito Funzione Pubblica). Il tutto finalizzato a togliere vincoli all’impresa: si semplifica “per risparmiare” eliminando strutture definite un appesantimento del sistema e rendendo il tutto, secondo loro, più efficiente. Lo Stato, detentore della quota di maggioranza della Banca, entro quest’anno avrebbe dovuto trovare un acquirente delle sue azioni, avendo già ottenuto una proroga dalle Istituzioni comunitarie alla cessione del suo capitale azionario.

Unicredit ha dato uno scossone, inaspettato (formalmente) anche dalla dirigenza Montepaschi. Ha offerto la disponibilità all’acquisto di sportelli localizzati essenzialmente a Nord, il rifiuto delle strutture di Direzione generale che comprende comunque migliaia di lavoratori sparsi su tutto il territorio nazionale  (non solo “i nullafacenti senesi a livello manageriale”).  Su circa 21.000 dipendenti del Gruppo Montepaschi (Banca Montepaschi ed aziende correlate) si è iniziato a parlare di 6.000 lavoratori eccedenti “la necessità di Unicredit”.  Un diktat imprescindibile per salvare il salvabile del quarto polo creditizio nazionale. È ciò che viene generalmente definito “spezzatino”, si cedono, cioè, alcuni bocconi “prelibati” ed il resto, ritenuto di secondo taglio se non frattaglia, lo si smaltirà in qualche modo. 

Lo Stato, sia come azionista di maggioranza che come regolatore di un settore nevralgico che è il sistema creditizio (per non parlare della tutela di 21.000 lavoratori dipendenti) non ha dimostrato, da subito, nessuna presa di posizione critica verso quest’acquisto al ribasso; Le OO.SS., benché consce della gravità del momento, non si sono espresse in maniera dura ed oppositiva verso questa offerta offensiva, in ultimo i lavoratori scombussolati (privi di un immediato e deciso supporto sindacale che li compattasse) continuano a fare il proprio dovere ignorando le concrete prospettive future. Ci si rifà alla solita logica capitalistica: è il mercato che ce lo impone. Qualcosa di estremamente deprimente, ma prevedibile.

Per i lavoratori è indispensabile che esista Gruppo Montepaschi, la divisione, in qualunque modo praticata, indebolisce sempre i lavoratori. Occorre che lo Stato non si limiti a far compiere un affare ad Unicredit; in questa eventualità affronterebbe un esborso enorme perché dovrebbe accollarsi la gestione dei crediti deteriorati Montepaschi, provvedere per una copertura dai rischi relativi a cause intentate verso Montepaschi, rimpinguare il fondo per prepensionamento di alcune migliaia di lavoratori; per poi offrire ad Unicredit il miglior boccone dello spezzatino.

Qui c’è  un gruppo che sa fare banca (come altri gruppi), che ha l’unica colpa di avere avuto nel passato amministratori “poco accorti” e poco controllati dagli organi di vigilanza, ma questo è un altro argomento. La storia recente del sistema creditizio con salvataggi di altre banche ci insegna che per i lavoratori divisi ed acquisiti ci sono state ricadute molto dure, sul piano economico, professionale e personale: c.d. mobilità professionale (passare a fare altro) e mobilità territoriale (il posto di lavoro è assicurato però a diverse centinaia di chilometri dal precedente).

Si deve fare un cenno anche agli attori politici: Draghi, presentato ora come il salvatore della Patria, che proviene dalla Finanza e Credito, nazionale ed europea, era a suo tempo a capo di Banca d’Italia (organo di controllo insieme a Consob  delle banche italiane) quando Montepaschi acquisì Banca Antonveneta, secondo molti analisti ad un prezzo sopravvalutato; in precedenza anche Banca 121 (ex Banca del Salento) definita da qualcuno uno scatolone vuoto, fu acquistata ad un prezzo superiore al suo valore effettivo. Andando indietro negli anni ci furono acquisizioni di alcune banche siciliane, che comportarono pagamenti miliardari (era il periodo della lira) a “consulenti”. Tutto ciò senz’alcun intervento delle funzioni di controllo che ne impedissero lo svolgimento. Draghi, attuale presidente del consiglio e ben conscio dell’affaire Montepaschi, ha ignorato il problema anche se sollecitato per lungo tempo, ed ora il MEF, come azionista di maggioranza, se ne sta occupando.  C’è il teatrino della “politica nazionale”, da repubblica delle banane: Salvini che da una parte vuol salvare “la banca più antica del mondo” con i lavoratori tutti, scaricando la gestione fallimentare sui “comunisti” del PD, che comunque sono molto presenti in Toscana. Occasione ghiotta per mettere in difficoltà Letta che è al ballottaggio proprio nel Collegio senese per subentrare al posto lasciato vacante da Padoan per andare in Unicredit (!). Poi amministratori locali: Regione Toscana, Comune di Siena e financo Comune di Mantova dove c’è un Centro servizi della banca con molti dipendenti, che prevedibilmente vogliono tutelare i propri cittadini/votanti. In tanti, a parole, sono contrari al c.d. spezzatino che sarebbe una mazzata per tutti i dipendenti e tali dipendenti sparsi su tutto il territorio nazionale attendono inermi di conoscere il proprio futuro.

Un approfondimento sui rappresentanti dei lavoratori, questi ultimi iscritti al 90%  ad un sindacato, uno dei massimi livelli in ambito bancario. I lavoratori Montepaschi avevano le massime tutele, per qualsiasi problema la propria sigla sindacale li seguiva in maniera alquanto adeguata (così da essere da esempio per gli altri bancari). Man mano tale tutela è scemata, considerando anche l’involuzione mondiale dello scontro di classe.  I lavoratori non si sono adeguati a questo cambiamento ritenendo ancora valida la loro delega al sindacato per ripianare qualsiasi problema, senza rendersi conto che devono pretendere dal sindacato un impegno immediato e conseguente rendicontazione ai lavoratori; d’altro canto non hanno capito, in maggioranza, che è imprescindibile il loro impegno diretto nell’immediato futuro per tutelarsi. Le OO.SS.  pare stiano sul chi vive ma non hanno dato una sferzata ai propri iscritti per svegliarli dal loro torpore delegatorio. Più che altro si illudono di avere un canale diretto con la Direzione della Banca (ma Direzione di quale banca?) per ottenere qualcosa “senza dare fastidio al conducente”, completamente scollegati dai lavoratori che rappresentano ed illudendosi di avere ancora un certo peso contrattuale con il padronato. Scontano l’estrazione senese, di quando un tempo ci si incontrava in questo paesone magari per strada e si giungeva ad un accordo. Lo scontro, la lotta li conoscono per averli studiati, ma non li hanno mai praticati per tutelare lavoratori alla fame privati in tanti casi dell’unico reddito familiare “per campare” (non mi riferisco a Montepaschi, ma ad aziende che chiudono delocalizzando la produzione, cosa che ora sta succedendo anche in Toscana ).

Cosa occorre per evitare il peggio è intraprendere da subito un percorso di lotta: al Ministero delle Finanze a Roma occorre che vadano a trattare le OO.SS. accompagnate dai lavoratori e non i soli dirigenti che hanno invitato i diretti interessati a rimanere a casa, causa Covid. Nel paese le vertenze di lavoro si stanno organizzando per lottare insieme, perché solo l’unità può dare la forza necessaria a vincere; i lavoratori del credito devono unirsi alle fabbriche in lotta. I sindacati confederali stanno trattando ovunque al ribasso è necessario il protagonismo dei lavoratori a prescindere dalle sigle sindacali.

C’è anche in tutto ciò un risvolto politico: per affrontare la crisi economica in atto è necessaria un’azione programmata dello Stato attraverso la finanza pubblica: MPS può oggi essere uno strumento indispensabile per articolare un piano economico nazionale. Le privatizzazioni in tutti i settori, sanità, trasporti, wellfare hanno dimostrato un chiaro fallimento. Ricominciare dalla nazionalizzazione del settore creditizio può essere oggi la strada giusta.