Elezioni regionali, dove sta il consenso reale?

di Fabrizio Burattini

Come nostro solito, per un’analisi non elettoralistica né politicista del risultato elettorale delle regionali del 31 maggio, ci riferiremo essenzialmente ai voti in assoluto, al numero reale dunque delle persone che hanno deciso di andare o di non andare a votare e di votare per questo o quel partito.

D’altra parte, l’affanno dei partiti nel dimostrare agli elettori di essere “vincenti” trova mille vie, dai raffronti percentuali con le varie tornate precedenti fino alla più recente trovata di utilizzare il Risiko, mostrando il numero delle regioni conquistate. Si tratta di una pura logica di potere, nella quale la questione del consenso reale e, dunque, della tanto decantata democrazia è semplicemente espunta.

Il consenso ai partiti e alle liste questa volta (come già alle regionali calabresi e emiliane di sei mesi fa) scende sotto il 50%, dato che 9.555.937 elettrici ed elettori (su 18.849.077, il 50,7%, dunque) non si è recato alle urne o ha votato scheda bianca o nulla.

Il “popolo del non voto” rispetto alle europee di un anno fa cresce di circa un milione. Un milione che peraltro è totalmente concentrato nelle 5 regioni centrosettentrionali, dato che in Campania e in Puglia la partecipazione al voto, seppure marginalmente cresce.

Se dai votanti sottraiamo i suffragi ottenuti dal Movimento 5 Stelle (1.443.733), dalle liste “L’altra regione”, variamente ispirate alla “lista Tsipras” delle europee (210.534), dalle liste del PCL e di alcuni suoi alleati (6.956) e dalla seppure più ambigua lista Pastorino (61.988), il consenso ai “partiti dell’austerità” (PD, Lega, Forza Italia, NCD, ecc.) raccoglie solo 7.569.929 voti, pari al 40,2% dell’elettorato chiamato al voto.

Né può essere invocato il carattere “amministrativo” e “locale” di queste elezioni. Il potenziale di mobilitazione di migliaia di candidati avrebbe essere decisamente superiore a quello delle poche centinaia presentate al momento delle europee.

La motivazione di questa ulteriore esplosione dell’astensione, naturalmente, non è univoca. Certamente agisce il desolante spettacolo offerto dalle giunte e dagli stessi consiglieri di numerose regioni, nell’uso disinvolto e sfacciato dei denari pubblici e, più in generale, la diffusa corruzione presente nelle istituzioni; ma l’astensione è anche e soprattutto il frutto del precipitoso peggioramento delle condizioni di vita di larga parte delle classi popolari.

E’ la caduta delle illusioni che il protervo attivismo di Renzi e dei suoi ministri aveva alimentato nei primi mesi del loro governo, anche grazie alla elargizione dei famosi 80 euro.

Non a caso il PD perde in 12 mesi (dalle europee) 1.309.769 voti, nelle sole sette regioni chiamate al voto (computando peraltro il più favorevole consenso ai candidati presidenti, appoggiati non solo dal PD, ma anche da altre liste).

Se si esclude la Puglia (dove invece Michele Emiliano ha ampiamente superato il risultato delle europee del PD, peraltro sostenuto anche da SEL e dal PdCI), nelle altre sei regioni l’emorragia di voti del partito di Renzi ammonta a 1.527.255. Un vero e proprio tracollo..

Singolarmente, gli alleati di governo del PD (UDC, Scelta Civica, NCD, ecc.), variamente schierati in queste regionali, aumentano, anche se marginalmente, rispetto ai voti raccolti alle europee, ottenendo 529.992 suffragi, 14.915 in più, cosa che, con la diminuzione dei votanti, porta la loto percentuale complessiva al 5,70%. Si tratta della dimostrazione indiretta del fatto che il programma e l’azione del governo Renzi sono molto più mobilitanti e convincenti verso i settori politici e sociali che si riferiscono al centro piuttosto che a quelli che guardano, seppure confusamente, a sinistra.

La Lega Nord, come ampiamente commentato in questi giorni, è drammaticamente l’unica forza politica, in netta inquietante crescita, sia percentuale che in voti assoluti. Ottiene 807.053 voti, a cui vanno sostanzialemte sommati i consensi della Lista Zaia (427.142) e, probabilmente, anche qualli di “Noi Veneto” (49.904), per un totale di 1.284.099, moltiplicando dunque per 2,5 i voti ottenuti un anno fa (513.801). A questo exploit va sommata la tenuta sostanziale di Fratelli d’Italia, che raccoglie 334.663 voti, perdendone “solo” 50.877.

A destra (anche questo è stato diffusamente sottolineato), perde pesantemente Forza Italia, che riunisce 955.704 voti, perdendone 835.272, cioè, dunque dimezzandoli e ridimensionando drasticamente i canti di vittoria per la “conquista” della Liguria.

I voti pugliesi di Fitto e di Schittulli (308.168) orbitano naturalmente sempre nell’area della destra, ma non è chiaro come si collocheranno politicamente in una ipotetica consultazione nazionale. Ancora meno scontata sarà la collocazione dei 104.757 voti veneti della lista del “dissidente” leghista Tosi, che orbitano in un’area intermedia tra la destra e il centrismo perbenista di Alfano.

Nell’area “critica” il movimento 5 Stelle, solitamente debole (salvo casi eccezionali) nelle scadenze amministrative, perde 887.092, raccogliendone “solo” 1.324.292 (pari al 14,25%) e non riesce a capitalizzare l’aumento della disaffezione politica che si riversa nell’astensione. Resta però una forza in campo, smentendo tutte le analisi sul suo carattere effimero.

A sinistra del PD il panorama è molto composito e variegato. Di tutto ciò avevamo già detto. Le liste alternative al PD, in vario modo ispirate dalla “Lista Tsipras”, raccolgono 210.534 voti. In Liguria, la candidatura Pastorino riporta 61.988 voti. SEL, nelle tre regioni in cui ha scelto di presentare liste a sostegno del candidato presidente PD (Veneto, Umbria e Puglia) raccoglie 138.201 voti. A questi possono essere sommati i 10.398 voti ottenuti dal PdCI in Puglia sempre a sostegno di Emiliano.

Ancora “più a sinistra”, le due liste promosse dal PCL in Umbria e in Liguria riportano 6.956 voti.

Alle europee, un anno fa, la lista “L’altra Europa con Tsipras” (limitatamente alle sette regioni) raccolse 310.363 suffragi. Questa area, certo difficilmente sommabile, ma che comunque rappresenta tutto ciò che si è espresso elettoralmente a sinistra del PD, ha raccolto 373.045 voti, con una piccola crescita (+ 62.682) che tuttavia, anche a causa della scelta prevalente di andare in ordine sparso, e soprattutto di non affrontare il nodo dell’alternatività complessiva nei confronti del PD, non recupera quasi nulla dal “bacino” dell’astensione e, comunque, lascia al M5S la bandiera dell’opposizione politica a Renzi e al regime dell’austerità.