Genova 2001, quando non importa che ce lo dica l’Europa
di Checchino Antonini
Quanto avvenne la notte del 21 luglio 2001, in seguito all’irruzione delle forze dell’ordine alla scuola Diaz, “deve essere qualificato come tortura”. La Corte europea di Strasburgo ha condannato l’Italia per tortura per quanto accaduto durante il G8 di Genova del 2001. Arnaldo ce l’ha fatta. Ha messo in scacco il ceto politico italiano ipocrita. Ha gridato che il Re è nudo e crudele.
Arnaldo Cestaro è un vecchio di 75 anni. Un vecchio comunista, tutta la vita a raccogliere ferro vecchio nel vicentino e a fare politica nel Veneto bianco. Era l’ospite più anziano della Diaz in quella notte del 2001. Quando ha sentito battere al portone pensava fossero i fantomatici black bloc e invece erano poliziotti inferociti: celerini, specialotti, agenti semplici, funzionari e, sopra tutti, i De Gennaro boys, i prescelti nella linea di comando per succedere al potentissimo superpoliziotto. Volevano ridare lustro alle forze dell’ordine, all’indomani dell’omicidio di Carlo Giuliani. Gl’hanno tolto ogni residuo di credibilità perché oltre alle torture, hanno messo in scena prove false per inchiodare Arnaldo e una novantina di persone e hanno ostacolato con ogni mezzo le indagini successive.
Violazione dell’articolo 3 sul «divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti». Non solo: la Corte di Strasburgo ha condannato il nostro Paese non solo per le violenze inflitte dalla polizia agli ospiti della Diaz, ma anche per la lacuna legislativa che impedisce di punire il reato di tortura. E’ dal 1987 che questo paese ha firmato la convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura ma non ha mai operato per formulare una legge decente. Un governo dopo l’altro, di destra o di “sinistra”, stando alla grottesca neolingua del liberismo. Da Fassino e Dini fino al testo in via d’approvazione adesso sull’onda, paradossalmente, proprio del ricorso di Arnaldo. Lo ha promesso Renzi che nel 2001 solidarizzava con i carabinieri da segretario fiorentino del Ppi, erede della Dc di Scelba e Tambroni, Kossiga e Andreotti. E’ quello che teme anche Enrico Zucca, insieme alla collega Cardona Albini, pm in primo e secondo grado contro i pubblici ufficiali identificati come responsabili dell’irruzione alla scuola e della costruzione del falso che ne seguì: «La Diaz e Bolzaneto (su cui arriverà un verdetto analogo, ndr) – ha detto – sono un concentrato della violazione della convenzione europea».
«Bisogna riuscire a prevenire fatti di questo genere e in Italia non abbiamo antidoti all’interno del corpo di appartenenza. Le dichiarazioni fatte dopo la sentenza definitiva dall’allora capo della polizia Manganelli non sono solo insufficienti ma dimostrano la mancata presa di coscienza di quello che è successo. Lui fece delle scuse, sì, ma parlando di pochi errori di singoli, senza riflettere sulla vastità del fenomeno».
«Una vergogna annunciata», anche per Vittorio Agnoletto, portavoce, all’epoca, del Genoa Social Forum: «Il reato di tortura come fattispecie specifica per i funzionari pubblici è previsto nella grande maggioranza dei Paesi europei ed è a tutela non di una parte politica, ma di tutti i cittadini. Una polizia che agisce nella legalità non dovrebbe avere alcun timore dall’istituzione di tale reato; altrimenti significa dare per scontato che le forze dell’ordine nel compiere il proprio lavoro agiscano contro e al di sopra della legge, e questo è inaccettabile in qualunque stato di diritto. A maggior ragione ora non è più rinviabile una legge ad hoc». Ma la legge che sta per arrivare ha il sapore di una beffa. Nel testo viene definito il reato come comune nonostante nella Convenzione sia previsto solo nel caso sia compiuto: «da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito». La lobby della casta dei «servitori dello stato» ha lavorato bene allargando il reato all’universalità dei cittadini, svuotandolo così di significato e poi limitandolo a una serie di condizioni molto strette e infine prevedendo una sola aggravante nel caso sia commesso dai soggetti indicati dalla Convenzione, che invece all’art.1, recepito com’è in moltissimi dei paesi firmatari, non potrebbe essere più chiara nel definire il reato di tortura: «Qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali al fine di segnatamente ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito».
Il contesto sociale e politico è molto diverso da quello che vide l’indignazione di buona parte dell’opinione pubblica di fronte alle violenze di Genova. Molti giornali hanno riportato in auge gli smemorati Fini e Castelli, ministri del governo Berlusconi che ebbero le responsabilità politiche del contegno delle polizie in quei giorni. Ha tuonato il solito Giovanardi per provare a smentire che anche nei casi Aldrovandi e Cucchi si sia trattato di tortura. E’ lui, assieme a Salvini, il capofila dell’ossessione diffusa che poliziotti e carabinieri possano essere limitati nella capacità di abusare dei cittadini. Ma il più surreale è stato Orfini, il presidente del Pd, che – come se fosse emerso da un lungo letargo – ha inscenato sdegno (subito smentito da Renzi e dal magistrato anticorruzione Cantone) per la presenza di De Gennaro ai vertici di Finmeccanica. Una posizione scelta per lui dal suo partito che prima lo fatto transitare dal Viminale alla guida dei servizi segreti. Il suo partito, negli anni, ha cambiato tre volte nome ma non è mai venuto meno al proposito di impedire una reale inchiesta parlamentare sui fatti di Genova. Non solo: il giovane Orfini, poche ore dopo l’omicidio di Carlo Giuliani (per il quale non c’è stato nemmeno un processo pubblico) decise di annullare i pullman della Sinistra giovanile che avrebbero dovuto portare i manifestanti a Genova per il corteo del 21 luglio. Tra essere parte del problema ed essere parte della soluzione non ha mai avuto dubbi. Nemmeno quando fa la foglia di fico.