Belgio: Veglia d’armi o veglia funebre?
di Daniel Tanuro
Ecco le prime considerazioni sulle prospettive dopo lo sciopero generale in Belgio,oscurato dai media italiani e di cui abbiamo segnalato l’importanza e la vasta portata in precedenti articoli dello stesso Tanuro. Non mancano le analogie con la situazione del nostro paese. Nonostante i pesanti attacchi ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, nonché ai diritti sindacali, la ricerca della concertazione rimane l’orizzonte delle grandi organizzazioni sindacali che fanno riferimento alla Ces. L’articolo è utile a comprendere, a questo proposito, la dialettica e le contraddizioni di queste grandi organizzazioni e ci pone l’esigenza di considerare il contesto internazionale in cui si inseriscono le politiche di austerità e le lotte sindacali (ndr).
È la domanda che si pongono migliaia di militanti in Belgio, in questo periodo di feste di fine d’anno.
Come previsto, lo sciopero di 24 ore del 15 dicembre è stato un enorme successo. Tutto il paese è stato paralizzato. La mobilitazione di decine di migliaia di sindacalisti è stata molto impressionante.
Ma i vecchi dicono: «Non siamo nel dicembre 1960». La grande massa oggi non è pronta (questo può cambiare) a intraprendere una lotta fino all’ultimo. Questa segue i/le su/oi/e delegati/e, e quest/i/e seguono le parole d’ordine delle loro organizzazioni … pur esercitando su queste una pressione che, se è abbastanza forte, pesa sui vertici.
Questa dialettica interna al movimento sindacale è tipica del Belgio, con le sue organizzazioni poco politicizzate ma molto di massa e ben strutturate, e che si basano su una rete di decine di migliaia di militanti attiv/i/e che partecipano a una quantità di istanze intermedie.
Lo sciopero del 15/12 era l’ultima tappa di un piano di azione adottato dal fronte comune sindacale. All’indomani, il Primo ministro confermava il mantenimento delle misure di austerità. Ma nessuna impresa, nessun settore, ha oltrepassato le direttive sindacali. Nemmeno nel settore pubblico dove era stato deposto un preavviso di sciopero a oltranza.
Molti ministri hanno detto: le alternative che i «partner sociali» eventualmente potranno formulare, dovranno iscriversi nel quadro dell’accordo di governo, e in ultima istanza sarà questo a decidere. Ciò nonostante, i responsabili sindacali si sono precipitati a una «concertazione» con i padroni, due giorni dopo lo sciopero. Si rivedranno solo il 13 gennaio per decidere – o no – un secondo piano di azione.
La concertazione aveva per oggetto questioni pendenti da parecchi mesi e che non hanno un rapporto diretto con il programma della coalizione di destra. È stato concluso un miniaccordo che sarà sottoposto al governo per approvazione. Il governo si felicita evidentemente per la ripresa del dialogo, e i rappresentanti sindacali fanno lo stesso. Sembra quindi che la tensione diminuisca. Ma questa pacificazione è ingannevole.
È ingannevole perché il punto decisivo è sapere se i sindacati si piegheranno di fronte ai diktat del governo dei padroni: la pensione a 67 anni e le altre misure sulla fine rapporto, il salto dell’indice [1] e il blocco dei salari, i tagli nel settore pubblico, la destabilizzazione nella Previdenza Sociale, per non parlare delle misure contro le donne, i giovani e gli immigrati clandestini.
Il movimento cominciato il 6 novembre ha fatto pressione sul partito democristiano fiammingo (CD&V). Il CD&V è l’anello debole della coalizione, poiché include al suo interno rappresentanti del Movimento Cristiano Operaio (del quale fa parte il sindacato cristiano). Abituato alla collaborazione di classe, propone un limitato prelievo fiscale sui redditi da capitale, nella speranza di spezzare il fronte comune sindacale … e di salvare il suo elettorato popolare.
È dubbio che questa linea passi all’interno della maggioranza, dove i partigiani di una linea alla Thatcher sono dominanti. Per di più, il margine di manovra è estremamente ristretto o inesistente. La Commissione europea e il FMI incoraggiano il governo a procedere oltre nei suoi attacchi. Le tensioni nella maggioranza sono una fonte di speranza per il PS all’opposizione, ma non per la massa dei lavoratori.
Di fronte a una violenta campagna mediatica, e incapaci di riconoscere la portata politica della loro azione, i sindacati hanno deciso frettolosamente di fare marcia indietro «per dare un’opportunità alla concertazione». Questa marcia indietro è pericolosa. Infatti gli apparati non tarderanno a ritrovarsi di fronte alla scelta: o mobilitare più ampiamente i loro 3,5 milioni di aderenti, o lasciare vincere alla classe dominante una battaglia strategica. Molti settori hanno annunciato che per loro la lotta continua.
Da LCR – La gauche
[1] Vedi nota articolo precedente: «Belgio, dopo l’enorme successo dello sciopero del 15 dicembre: verso una prova di forza di grande portata»