Napoli, per un nuovo meridionalismo

Sabato 13 novembre all’ ex-Asilo Filangieri di Napoli si è svolta l’Assemblea campana di bilancio del Controsemestre Popolare, la campagna unitaria alternativa al semestre di presidenza italiana dell’ Unione europea (luglio-dicembre 2014). La discussione, oltre a riguardare singole vertenze sociali e sindacali, ha approfondito un primo bilancio delle mobilitazioni autunnali in risposta alle politiche dell’UE (scioperi generali, mobilitazioni contro la BCE, lo Sblocca/Italia, lotte territoriali in difesa dei beni comuni…). A livello regionale si è tracciata una prima analisi delle prospettive politiche e sociali della realtà campana; l’ impostazione prevalente è stata quella di rafforzare l’unità delle forze anticapitaliste e antiliberiste attorno al profilo politico e culturale di un nuovo meridionalismo e all’attenzione al blocco sociale dei settori popolari di riferimento. Si è anche affrontato il tema delle elezioni regionali della prossima primavera e sulla possibilità di presentare una lista indipendente ed alternativa al Pd ed ai suoi alleati. Anche in previsione di un’assemblea pubblica su questi stessi temi.

Pubblichiamo la sintesi di una delle due relazioni introduttive svolta dal compagno Umberto Oreste di Sinistra Anticapitalista di Napoli.

 

Certamente bisogna partire dai dati economici esposti nella bozza di documento; sappiamo che i dati SVIMEZ riferiti prima sul PIL, CIG e occupazione sono drammatici ma non rispecchiano a pieno la realtà; anche il sommerso è in crisi e nel sommerso non c’è naturalmente CIG e computo del PIL; inoltre, a parte il dato numerico dell’occupazione, bisognerebbe verificare l’aumento del carico di lavoro su occupati e precari. In realtà la crisi va valutata oltre che leggendone i dati, vivendo a stretto contatto con il disagio sociale. In questi mesi sulle partecipate degli enti locali oltre a valutarne gli effetti, abbiamo provato ad interagire con le singole vertenze ed abbiamo percepito quanta rabbia e disperazione viene messa in campo.

Fatta questa premessa, vorrei riflettere su un dato economico recentemente riportato, quello del “residuo fiscale” che è la differenza tra quanto riceve un territorio dal bilancio pubblico rispetto al gettito fiscale ivi prodotto. Essendo la fiscalità più o meno progressiva rispetto al reddito ed i servizi pubblici indipendenti dal reddito, il residuo fiscale sarà maggiore per i territori con reddito minore. Negli anni prima della crisi il residuo fiscale del mezzogiorno ammontava a 56 miliardi. Colpendo la crisi soprattutto il Sud, il minor gettito fiscale dovrebbe far aumentare il residuo fiscale e così è stato. Infatti, nel 2009-2010 esso è salito a 60 miliardi. Ma dopo il 2012, con la nuova polita economica dell’austerità si è ridotto di molto, passando a 44 miliardi. Perché? Perché al Sud la spesa pubblica è stata tagliata di più e le tasse sono state aumentate di più. La spesa sociale al Sud è diminuita del 2,6 per anno, al Centronord dell’1,3; la spesa sanitaria è diminuita al Sud del 6,7, al Centronord del 2,9; la spesa per l’istruzione del 14,6 al Sud, del 8,1 al Centronord; i dipendenti pubblici sono diminuiti al Sud del 9,6 ma al Centronord sono aumentati del 3,7. Questi sono dati 2013; nel 2014 saranno sicuramente ancora più drammatici ricordando che nella legge di stabilità sono stati cancellati 3,5 miliardi di investimenti tutti al Sud. Nel contempo, riguardo alle entrate fiscali, queste sono rimaste stabili al Centronord e sono aumentate dell’1,7 al Sud, soprattutto per aumenti di imposte locali e tariffe.

Tutto ciò non perché il governo sia particolarmente antimeridionale, ma semplicemente perché le politiche liberiste chieste dalla Troika e sostenute dagli ultimi governi, colpiscono di più i più poveri: si abbassano le tasse ai datori di lavoro e si aumentano le tariffe, i ticket sanitari, si taglia lo stato sociale; si arriva al culmine che a Napoli per la TARI, a parità di metri quadri, pagano di più le famiglie numerose e quindi più indigenti.

Un’altra parte del ragionamento riguarda i reali poteri degli enti locali. Già nella relazione introduttiva si è accennato all’attacco governativo agli enti locali con lo svuotamento delle province, la sottrazione di competenze alle regioni (modifica dell’articolo 5 della costituzione), la stretta sul pareggio di bilancio a livello di enti locali, il trasferimento di poteri dai comuni agli ATO (ambito territoriale ottimale) e soprattutto i tagli massicci ai trasferimenti finanziari a comuni e regioni. Non sussiste più la possibilità tecnica di bene amministrare per cui non è possibile oggi pensare all’ente locale solo in termini di corretta amministrazione; dagli amministratori deve essere pretesa una contrapposizione netta al governo nazionale in termini antiliberisti. Bisogna chiedere loro di schierarsi rispetto allo scontro tra la politica dell’austerità e i movimenti antiliberisti nel paese. L’ente locale deve saper disobbedire al diktat del pareggio di bilancio, dell’aumento delle tariffe, della riduzione dei lavoratori pubblici, ai tagli dei servizi.

Nel nostro paese, come in tanta parte d’Europa, c’è uno scontro in atto su questo terreno e l’ente locale deve posizionarsi al fianco dei movimenti antiliberisti. Questa lotta va acuendosi ed in Grecia come in Spagna va legittimandosi un’alternativa di governo. In altri paesi, come in Francia, in Belgio, l’opposizione sociale cresce ed anche nel nostro paese l’autunno ha visto ritornare in piazza le ragioni dell’opposizione all’austerità. Oggi non possiamo fare a meno di citare le manifestazioni nelle 54 piazze di ieri. Manifestazioni di sindacati ma anche di collettivi giovanili, di precari, di centri sociali, di sindacati di base. La giornata ha visto scendere in campo l’opposizione anti-austerità che si è espressa in luoghi diversi, magari in forme diverse, ma con obiettivi comuni.

Ed ora? Giorgio Cremaschi ha detto ieri “o si capisce che è giunto per il sindacato, per la Cgil, il momento di cambiare strada, oppure lo sciopero generale sarà una parentesi di lotta e speranza tra due rese”. Ora è il momento di continuare. E’ vero che il Jobs Act è stato votato in parlamento, e, detto per inciso, lo sciopero generale avrebbe avuto maggiore valenza se fatto prima del voto parlamentare. E’ anche vero però che devono essere ancora approvati da decreti legislativi del governo e le mobilitazioni possono ancora modificare i contenuti. D’altronde perché non pensare che i decreti già approvati non possano essere ritirati? La mobilitazione contro lo “Sblocca Italia” continua con ragioni sempre crescenti: oggi è più chiaro che si tratta di incentivi alla speculazione e alla distruzione dei territori, con l’inevitabile appendice della corruzione e del malaffare.

In tale contesto non si possono ignorare le scadenze elettorali. Per i movimenti non è la stessa cosa se l’amministrazione locale è dalla parte dell’austerità o dalla parte dei movimenti. Io credo che la scadenza elettorale futura, il rinnovo dei consigli regionali dell’anno prossimo, non possa essere vissuta come le precedenti. C’è un abisso tra le precedenti regionali e quelle che si faranno l’anno prossimo. In passato la scelta tra centrodestra e centrosinistra poteva avere un senso in termini di contenuti e di metodi. Oggi il centrosinistra non è riproponibile, non solo perché i metodi adottati sono più o meno equiparati, ma soprattutto perché, dato il contesto nazionale, sono molto limitati i margini economici per una “buona amministrazione”.

Questo non significa, però, che dobbiamo stare fermi. E’ indispensabile misurarsi con la scadenza elettorale, anche ciò pesa a noi che non siamo elettoralisti ed istituzionalisti e pensiamo che i risultati si ottengono prioritariamente con le lotte.

Ma penso che per ottenere risultati tangibili dalle elezioni non dobbiamo porci in modo tradizionale rispetto a questa scadenza. Questo significa che non dobbiamo pensarle come un posizionamento tra soggetti politici. Il problema non è con chi o contro chi, il problema vero è determinare un assetto istituzionale dove prevalgano, o almeno abbiano largo spazio, le ragioni della alternativa alle politiche dell’austerità. Ci interessa che l’istituto regionale si opponga non solo con parole, ma con fatti concreti, alle privatizzazioni, al taglio dei servizi, al taglio dell’occupazione, al taglio dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Non ci deve interessare pronunciarsi su “con chi” o “contro chi”, ma la pregiudiziale netta deve essere contro le politiche del governo Renzi ed è evidente che il PD non può essere contrario alla propria linea nazionale. Porre la preclusione al PD ed a chi vuole allearsi con esso, non è una pregiudiziale aprioristica, ma la costatazione che con il PD ed i suoi alleati siamo su posizioni diametralmente alternative.

Occorre quindi misurarsi con il tema e farlo collegialmente con tutti i pezzi politici e sociali che hanno una strategia ed una pratica antiliberista. Non so se riusciremo a concretizzare una lista da presentare; questo ce lo dirà la discussione collettiva, io penso che bisogna provarci; c’è tanto disagio sociale, c’è tanta rabbia popolare, c’è tanta volontà di lotta. E’ nostro dovere misurarci con queste cose per trovare una uscita dalle attuali difficoltà. Unità dei movimenti, unità dell’alternativa politica e sociale, unità delle lotte per una Campania contro l’austerità.

Umberto Oreste, Sinistra Anticapitaliasta Napoli