Roma, mafia, corruzione e cecità politica. Che se ne vadano tutti

di Sinistra Anticapitalista Roma

Accade a Roma, nella sorpresa di alcuni lo svelamento di un laido lordume fatto di associazione mafiosa, di corruzione e di assenza della politica.

Al di sopra e al di sotto del mondo di mezzo non esiste soltanto la distinzione tra i colletti bianchi e la mera criminalità di strada. Esiste anche una politica di sopra, che come dimostrato dalle prime indagini, in stretta relazione con funzionari e dirigenti compiacenti vive e si alimenta dell’intreccio con la criminalità organizzata di stampo fascista e non solo, a cui come risulta dalle indagini, Alemanno ha dato ampio spazio.

Uno spazio talmente ampio, giunto al punto di attribuire ruoli dirigenziali dell’amministrazione e delle partecipate ad esponenti ex Nar, scelta che avrebbe dovuto immediatamente far comprendere il celarsi di un probabile coacervo tra affari criminosi e ricattabilità pregresse.

Uno spazio che viene da lontano e che sembra aleggiare come una nebbia diffusa da decenni sulla città, almeno fin dai tempi in cui Luca Odevaine ricopriva il ruolo di vice Capo di Gabinetto dell’ex sindaco Veltroni, fino ad arrivare agli attuali noti esponenti dei Consigli regionale e comunale, nonché della giunta tuttora in carica.

Ma esiste anche una politica debole ed inconsapevolmente connivente, incapace di giocare il ruolo che gli dovrebbe essere proprio, che non può e non deve semplicemente essere estranea al sistema. Ovviamente le responsabilità personali sono tutte da dimostrare, molti probabilmente ne usciranno a testa alta e altri invece, magari ancora ignoti, saranno giudicati colpevoli. La presunzione di innocenza va sempre e comunque garantita.

Quello che interessa è indagare politicamente quello che accade da decenni in questa città e cosa questa amministrazione sta facendo dopo la deprecabile gestione della giunta Alemanno.

Insomma, se spesso è vero che il meglio è nemico del bene, questa città non deve arrendersi ad avere un’amministrazione meno peggio delle precedenti, ma necessita di una vera svolta che in questo anno e mezzo di consigliatura non ha conquistato il necessario spazio pubblico di discussione.

La nebbia che pervade i palazzi della politica romana era già da tempo denunciata, ben prima dell’intervento della magistratura: basti ricordare l’inchiesta giornalistica dell’Espresso, del 9 settembre scorso, che titolava “i fasciomafiosi alla conquista di Roma” e ben descriveva la cupola che si annida nei palazzi del potere. Senza dimenticare la continuità della gestione descritta dal libro “Una Capitale in vendita” di Paolo Berdini e Daniele Nalbone, che denunciavano, già diversi anni fa, le città come “il luogo in cui il fiume di denaro virtuale creato dall’economia finanziaria si materializza con enormi speculazioni. Un’idea di città che ritroviamo nell’amministrazione Alemanno – legata non solo ai poteri forti ma anche all’estremismo di destra – ma incubata anche nelle precedenti di centrosinistra le quali non hanno mai dato vita a un generale ripensamento. E a cui è urgente contrapporre l’idea della città come ‘bene comune'”.

Per non dimenticare le vertenze e le battaglie sociali che i movimenti, le associazioni e i soggetti politici compiono ogni giorno, in difesa del servizio pubblico, contro le speculazioni edilizie, per l’acqua pubblica e per la liberazione degli spazi.

Ma se le inchieste giornalistiche e le denunce, non fossero state sufficienti al sindaco Marino, forse più attenzione avrebbe dovuto porre ai rilievi del ministero dell’Economia e della finanza del 16 gennaio 2014 con i quali venivano segnalate irregolarità per il sistema degli appalti, delle municipalizzate, per il personale dirigente e per il salario accessorio dei dipendenti.

La politica in questo caso sceglie, e Marino ha scelto, ha scelto di porre l’attenzione del dibattito pubblico sui costi rappresentati dai lavoratori del comune di Roma e delle municipalizzate.

La politica ha un privilegio ed un vantaggio, quello di schierarsi, di gridare da che parte stare, quale narrazione produrre per la città di Roma.

L’Italia è al primo posto in Europa per i livelli di corruzione e al 69° posto nel mondo come livelli di trasparenza, sono note le inchieste sul terremoto in Abruzzo, le indagini più recenti sul MOSE di Venezia, quelle sull’EXPO di Milano. La relazione del ministero delle Finanze descrive benissimo come il Consorzio di cooperative sociali Eriches 29 fosse destinatario di affidamenti diretti fuori da ogni legalità, come si legge nelle carte diffuse. Nonostante tutto ciò, il sindaco ritiene di doversi recare presso gli uffici del responsabile nazionale per l’anticorruzione, Cantone, per verificare la correttezza degli appalti della sua amministrazione, solo dopo la diffusione delle indagini del procuratore Pignatone.

Evidentemente, nel leggere la relazione del Mef, era stato colpito solo da quella parte che raccomandava di verificare la regolarità del salario accessorio da fame dei dipendenti del Comune di Roma. Anche perché era intento a programmare i licenziamenti dei lavoratori della Multiservizi o del Teatro dell’Opera di Roma, solo per ricordarne alcuni.

A Roma, mentre l’assessore alle politiche abitative del Partito democratico viene indagato per corruzione, spazi culturali occupati come il centro sociale Angelo Mai, il Cinema America o il Teatro Valle vengono chiusi dalle forze dell’ordine nel nome di una presunta legalità e si indaga e si arresta chi combatte contro la speculazione, contro l’emergenza abitativa e per il diritto all’abitare.

Accade a Roma che il direttore della direzione integrità, trasparenza e semplificazione dell’azione amministrativa di Roma Capitale risulta indagato per associazione di tipo mafioso, proprio quello che decideva, che contro la corruzione fosse necessario spostare di sede di lavoro centinaia di dipendenti del comune.

Accade che mentre 40 mila cittadini e cittadine di Roma, sottoscrittori di 4 delibere di iniziativa popolare in difesa della scuola, dell’uso pubblico del patrimonio, dell’acqua pubblica e per una nuova finanza pubblica e sociale attendono da mesi, in violazione di ogni regolamento, che il Consiglio comunale le discuta, il presidente dell’aula, presieduto anch’esso da un esponente partito democratico, venga indagato per corruzione.

Questa cricca di criminali, con collusioni anche con pezzi dello stato, è riuscita comunque a permeare il sistema politico di questa città, ha apertamente finanziato le campagne elettorali di PD, PDL, SEL e dello stesso sindaco Marino, violando anche la partecipazione elettorale delle ultime elezioni facendo sì che questo consiglio comunale risulti illegittimo.

Una campagna elettorale in alcuni casi fatta, magari all’insaputa degli stessi candidati, con soldi rubati ai cittadini e ai servizi e provenienti dalla criminalità organizzata.

La reazione di coloro che si dichiarano inconsapevoli, a partire dal sindaco Marino, dovrebbe essere una ed una sola, quella di dimettersi per non continuare a macchiarsi di questa infamia e rimettere il proprio mandato ai cittadini, m, perlomeno fino ad ora, nessuno ha manifestato questa forza e questo coraggio.

Per questo a Roma non basta un Sindaco meno peggio degli altri, serve una rottura netta che proponga una nuova narrazione, dove i servizi sociali vedano destinatari gli utenti e non il sistema, troppo spesso clientelare delle cooperative che vive alle spalle di lavoratori sfruttati e che invade da anni questa città.

Una rottura con i costruttori, ora intenti alla costruzione del nuovo stadio della Roma e di altri milioni di metri cubi di cemento, mentre opere come lo stadio del nuoto a Tor Vergata sono ancora un monumento allo scempio immondo con cui da anni si governa.

Serve una difesa del servizio pubblico e delle sue municipalizzate dove, tra la corruzione del sistema esistente e la cessione al privato alla ricerca del profitto, si scelga un sistema partecipato nel quale le aziende pubbliche siano sotto il controllo dei cittadini e dei lavoratori. Dove il diritto all’abitare sia veramente garantito contro chi ha speculato sui bisogni, come nel caso dei campi di segregazione per sinti e rom e come nel caso dell’emergenza abitativa.

Di fronte all’assenza di dimissioni, di fronte alla comprensibile fatta al prefetto anche dai 5 Stelle di scioglimento dell’amministrazione capitolina per associazione mafiosa, noi crediamo che non basti rivolgersi alle istituzioni, ma che sia necessaria una ribellione culturale, sociale e politica di tutte quelle realtà che in questi anni hanno combattuto contro le varie giunte, per proporre un’alternativa non solo centrata sull’onesta delle persone, condizione necessaria ma non sufficiente, ma anche in grado di mettere in discussione la gestione di una capitale asservita al capitale e di conseguenza facile preda della criminalità.

Se non se ne vanno dovremo solo cacciarli.