Capitolo 4 Il punto più basso del sindacato

Il Coordinamento Nazionale di Sinistra Anticapitalista nella sua riunione del 25 settembre ha discusso ed approvato un documento che sintetizza il quadro sociale e politico dello scontro di classe nel nostro paese, definendo alcune proposte politiche e l’impegno dell’organizzazione per una mobilitazione ampia, unitaria e generale nella battaglia di autunno che si è aperta.

Contro il governo Renzi costruire percorsi unitari di lotta

Documento del Coordinamento nazionale di Sinistra Anticapitalista
Bellaria, 25 settembre 2014

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Capitolo 4

Il punto più basso del sindacato

Le organizzazioni sindacali sono state costruite storicamente come strumento fondamentale di unità delle lavoratrici e dei lavoratori, di unità dei vari settori, per difendere le condizioni salariali, di lavoro e di vita, in altri termini per poter contrattare collettivamente e non individualmente la vendita della forza lavoro.

1. Le dinamiche degli ultimi decenni indicano il progressivo venir meno di questo ruolo e una subordinazione crescente dei grandi apparati alle politiche del capitale e dei governi; senza di essa le vittorie ottenute dal padronato sarebbero state forse non possibili e, comunque, molto più difficili e soprattutto la condizione materiale e di coscienza politica della classe sarebbe oggi diversa.
Le scelte politiche sindacali di Cisl e Uil sono state infine anche le scelte, se pur mascherate e sottoposte a diverse contraddizioni, data la sua storia e le sue presenze nella classe lavoratrice, della CGIL, che, dopo un periodo di “opposizione formale” ed inattiva, ha infine scelto di allinearsi attraverso gli accordi del 31 maggio 2013 e del 10 gennaio del 2014; questi accordi esprimono la volontà delle burocrazie di essere non solo agenti passivi, ma anche attivi nel contrastare ogni forma efficace di lotta operaia, in cambio del mantenimento degli apparati.
Questa politica ha reso possibile e, comunque, più facile l’aggressione padronale alla classe lavoratrice, ma non ha neanche pagato nella difesa di un ruolo e di un reale potere negoziale degli apparati. Dopo anni di complicità e di subalternità, il governo Renzi esplicitamente ignora ogni relazione con le organizzazioni sindacali, arrivando perfino a schernirle.
Ruolo centrale e decisivo negli anni passati ha avuto ed ha ancora la FIOM, il più grande sindacato italiano di categoria; negli ultimi 20 anni ha cercato in varie occasioni di rompere il recinto, prima della concertazione, poi della passività e dell’immobilismo, rimanendo alla fine isolata e subendo alla Fiat una cocente sconfitta (per altro mai riconosciuta, come sarebbe stata necessario per poter ripartire), che ha modificato complessivamente i rapporti di forza e che ha spinto il suo gruppo dirigente a ricercare una strada tutta tattica di mediazione sia all’interno della CGIL, sia con il governo. Va da sé che questa scelta, se sviluppata appieno, sarebbe foriera di altri arretramenti e costituirebbe un ulteriore grave impedimento alla ricostruzione di un sindacalismo di classe nel nostro paese. Ma, proprio per il suo inserimento nella classe lavoratrice, il sindacato di Landini resta soggetto a ulteriori scosse e contraddizioni, impossibilitato ad un ruolo meramente passivo e quindi teatro di nuovi confronti e sottoposto, molto più di altri apparati, agli scossoni della lotta di classe che potranno prodursi.
Per altro i processi di ristrutturazione industriale proseguono e in questa categoria, più ancora che in altre, il sindacato è chiamato a permanenti iniziative ed anche lotte per cercare di limitare i danni di fronte agli attacchi occupazionali più devastanti. In queste occasioni si misura però anche come queste stesse organizzazioni possano avere una qualche credibilità ed essere punto di riferimento per i lavoratori che provano a difendersi.
E infatti l’attacco frontale di Renzi con il Jobs Act ha messo in luce le contraddizioni e le spinte contradditorie a cui sono sottoposti i gruppi dirigenti della CGIL e della FIOM nell’ambito delle rispettive scelte politiche e tattiche “obbligandoli” a individuare forme di mobilitazioni parziali (la manifestazione nazionale la CGIL, la manifestazione, ma anche lo sciopero la FIOM) per cercare di “intepretare” ed indirizzare la volontà di resistenza delle lavoratrici e dei lavoratori.

2. Il combinato disposto della dimensione dell’attacco capitalista, della frammentazione del lavoro e della mancanza di una risposta d’insieme del movimento sindacale ha indebolito alla radice la credibilità, la forza e il ruolo delle organizzazioni sindacali che, dopo i buoni servigi resi, vengono oggi attaccati dal governo come uno degli obsoleti pachidermi del passato.
Vasti settori di lavoratori non solo non vedono nei sindacati uno strumento in cui organizzarsi, ma anche solo come semplice strumento a cui rivolgersi nel momento del bisogno.
In particolare la mancanza di qualsiasi iniziativa seria per contrastare la disoccupazione e la mancanza di prospettive di lavoro e per farsi carico seriamente della precarietà attraverso concrete vertenze per la regolarizzazione del lavoro, ha determinato una profonda distanza tra larghi settori di lavoratori e di giovani e le grandi organizzazioni; queste sono viste giustamente come apparati preoccupati solo di loro stessi.
Ma in questo modo è la stessa credibilità della sindacalizzazione che è oggi messa in discussione; questo deve spingere le componenti di classe del sindacato a una particolare attenzione per individuare quali iniziative intraprendere per contrastare ed invertire queste dinamiche.
Alcune situazioni di lotta molto dura, che hanno coinvolto in particolare lavori migranti (la logistica), su cui hanno concentrato le forze alcuni sindacati di base, hanno indicato che risalire la strada della sindacalizzazione non è impossibile. Per altro la battaglia di opposizione, legata a proposte di mobilitazione e lotta, nei settori più “classici” della classe lavoratrice, ha anche la funzione di mantenere alcuni baluardi fondamentali della sindacalizzazione, strumento indispensabile per costruire una rappresentatività ed unità della classe sul piano sindacale ben più ampia.
Le organizzazioni sindacali di base, hanno espresso sul piano dei contenuti rivendicativi e nella denuncia dell’involuzione delle grandi organizzazioni, un ruolo importante di indicazione di percorso, ma hanno subito le difficoltà obbiettive della crisi, riuscendo a costruire conflitto solo in settori delimitati, ripiegando inevitabilmente molte volte solo sull’iniziativa generale simbolica e rendendo il percorso ancora più difficile, dietro le reciproche diffidenze ed anche concorrenze e non riuscendo mai a fare una organica scelta di unità permanente, che da sola non avrebbe certo risolto tutti i problemi, ma che non essendosi mai o quasi mai prodotta, li ha perfino moltiplicati per tutti e naturalmente anche per i lavoratori.

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