Capitolo 1. La dimensione della crisi sociale
Il Coordinamento Nazionale di Sinistra Anticapitalista nella sua riunione del 25 settembre ha discusso ed approvato un documento che sintetizza il quadro sociale e politico dello scontro di classe nel nostro paese, definendo alcune proposte politiche e l’impegno dell’organizzazione per una mobilitazione ampia, unitaria e generale nella battaglia di autunno che si è aperta.
Contro il governo Renzi costruire percorsi unitari di lotta
Documento del Coordinamento nazionale di Sinistra Anticapitalista
Bellaria, 25 settembre 2014
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Capitolo 1.
La dimensione della crisi sociale
A sette anni dall’inizio della grande crisi il quadro socio economico del paese risulta fortemente alterato, dominato da una crisi sociale senza precedenti e dalla persistenza dalla crisi economica; quest’ultima si combina con le scelte padronali che producono continui processi di ristrutturazione e distruggono migliaia di posti di lavoro.
I processi di smantellamento di fabbriche ed aziende, le delocalizzazione, le ristrutturazioni non risparmiano nessun settore industriale e produttivo e si esprimono nelle centinaia e centinaia di vertenze che anche in questo periodo sono state poste all’attenzione del Ministero del lavoro.
L’Italia, fino ad oggi, non è un paese della periferia dell’Europa, anzi, è uno dei principali paesi manufatturieri, ma la dimensione della crisi, a cui si è aggiunto negli ultimi mesi il rallentamento della Germania, il principale paese dell’esportazione italiana, incide sempre più sulla struttura produttiva e sulla tenuta nei vari settori. Le vicende e le scelte aziendali anche di grandi gruppi, dall’Ilva all’Electrolux, dalla Fiat all’Alitalia, sono elementi emblematici della gravità della situazione.
1. Pertanto la fotografia, che l’Istat produce impietosamente, non lascia spazio ad alcuna ambiguità sulla portata di quanto sta accadendo nella società:
● un milione e 600 posti di lavoro persi durante questa recessione interminabile;
● 3 milioni di disoccupati ufficiali (con un tasso di disoccupazione vicino al 13%, oltre il 40% per i giovani), altri tre milioni che hanno rinunciato a cercare il posto di lavoro, una dimensione della povertà che supera i 6 milioni di indigenti, ma che sale ad oltre 10 milioni se si tiene conto dei poveri relativi;
● mediamente mezzo milione di lavoratori e lavoratrici in cassa integrazione;
● la dominanza delle forme precarie di contratto nella stragrande maggioranza delle nuove assunzioni.
Questi elementi, combinati con la destrutturazione dei contratti nazionali di lavoro, hanno determinato una drammatica riduzione dei redditi di lavoro, una redistribuzione della ricchezza sempre più diseguale, una pressione sempre più forte sulla forza lavoro che subisce ormai ogni forma di ricatto e di aumento dello sfruttamento.
A questo vanno aggiunte, naturalmente, la controriforma pensionistica con tutti i suoi devastanti effetti, compresa la creazione di una nuova categoria di disperati, gli esodati, la drastica riduzione dell’occupazione nel settore pubblico (sanità, scuola, ecc.) e complessivamente della spesa pubblica, sia nella sua forma diretta delle attività e dei servizi dello stato, sia in quella gestita dagli enti locali, che hanno subito una sanguinosa riduzione dei trasferimenti dello stato.
Tutti questi elementi naturalmente hanno valori assai superiori per quanto riguarda le popolazioni del Sud ed incidono in modo ancor più drammatico sulla componente femminile della classe lavoratrice e della popolazione, mettendo in luce quanto sia ipocrita e falsa tutta la propaganda sui processi di eguaglianza tra i sessi e di attenzione alle condizione e ai diritti delle donne.
In nome del pagamento del debito pubblico e della necessità di fare sacrifici per pagarne gli interessi, una gigantesca macchina idrovora è stata messa in piedi che drena risorse senza fine dalla classe lavoratrice e dalle strutture del welfare per trasferirle alla ricchezza privata, sia essa di origine manifatturiera, che quella direttamente finanziaria, fortemente dominante in questo periodo di grande crisi complessiva del capitalismo.
2. Tutto questo è avvenuto senza che ci fosse una risposta o anche solo un movimento di insieme della classe e dei movimenti sociali per contrastare le politiche liberiste antipopolari, condotte da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo, in stretto connubio con le istituzioni e le borghesie europee che le hanno costruite a loro misura.
Le resistenze ci sono state, ma sono state in genere localizzate, azienda per azienda di fronte al precipitare della situazione occupazionale o a specifiche operazioni di smantellamento o delocalizzazione, oppure di fronte a forme particolarmente dure e violente di sfruttamento, oppure ancora, sul piano sociale, a riduzione drastiche di servizi, a difesa delle condizioni ambientali e del territorio di fronte alle follie speculative e distruttive delle lobby del cemento e dell’asfalto in connubio con le istituzioni e i governi nazionali e locali.
Solo in pochi casi ed in alcune aziende, tra cui va segnalato il settore della logistica, in cui è forte una componente di lavoratori immigrati e giovani, ci sono state lotte rivendicative di attacco per ottenere migliore condizioni di salario e di lavoro, lotte vincenti, anche perché condotte con una forte determinazione e con strumenti di mobilitazione efficaci che hanno colpito le esigenze di produzione delle direzioni e le hanno obbligate a più miti consigli e a fare concessioni anche significative.
Nel complesso le mobilitazioni che ci sono state non hanno potuto rovesciare la dinamica complessiva dei rapporti di forza; anche i parziali risultati ottenuti con la resistenza restano il più delle volte precari, sottoposti prima o poi ai nuovi assalti dell’avversario di classe, che si sente sempre più rafforzato dai successi ottenuti negli ultimi anni, a partire naturalmente dall’affondo operato da Marchionne alla Fiat che ha stravolto la contrattazione del lavoro e dal progressivo smantellamento dei diritti e delle tutele che ha guidato l’azione dei vari ministri del lavoro, da Sacconi a Fornero, fino all’indecente Poletti.
Per altro i forti movimenti sociali, che pure sono presenti nel paese, da quelli ambientalisti, a quello sociale per la casa, se da una parte rappresentano la mobilitazione di ampi settori sociali, di per se stessi, non potendo incidere direttamente sui luoghi di lavoro e della produzione, non hanno potuto modificare le dinamiche fondamentali della situazione politica e i rapporti di forza. Alcuni di questi movimenti locali sono a loro volta indeboliti da gruppi dirigenti, sempre troppo attenti a cercare un riferimento di sostegno nelle istituzioni, cioè in quel PD che è invece al centro del governo degli affari della borghesia, e che hanno una forte incapacità ad assumere la dimensione generale delle scelte del capitale.
3. Là dove si sono determinate situazioni in cui l’esplodere della lotta poteva comportare gravi intoppi all’incedere delle scelte borghesi, si pensi alla vicenda Alitalia, ma anche solo allo sciopero in gran parte simbolico alla ex Bertone oggi Maserati, o alle mobilitazioni in alcuni settori pubblici, la reazione padronale e degli uomini del governo è stata di grande violenza; in essa si è espresso tutto l’odio di classe verso i proletari, in una prospettiva che punta chiaramente a un’ulteriore riduzione del diritto di sciopero, già oggi fortemente limitato nel settore pubblico.
Di fronte al più grande movimento di massa e popolare che è presente nel paese, quello della lotta della Valle di Susa contro la TAV, con un impatto parziale, ma reale sulla vita sociale e politica nazionale, non solo si sono utilizzati tutti gli strumenti mediatici di denigrazione possibili, ma si è passati direttamente alla repressione del movimento tramite le cosiddette forze dell’ordine e di una magistratura particolarmente solerte che non lascia dubbi sulla sua appartenenza di classe e sulle sue relazioni con il blocco sociale dominante che caratterizza la Regione Piemonte.
4. In questo contesto, reso possibile dalla complicità e dall’inattività delle grandi organizzazioni sindacali, in vasti strati della popolazione e nella classe lavoratrice non poteva non affermarsi una dinamica di frammentazione e di demoralizzazione, un ripiegamento sull’individualismo, sul si salvi chi può, combinato al venir meno di una speranza di cambiamento collettivo, congiunto alla rabbia e al rancore, abilmente guidato dai media solo contro la “casta politica”.
Ma era proprio questo anche uno degli obbiettivi dell’azione della classe borghese: “convincere” che non si può fermare la macchina schiacciasassi che avanza, che bisogna rassegnarsi, cioè l’interiorizzazione della sconfitta subita e l’esprimersi di una speranza incerta di cambiamento solo nell’affidamento o nella ricerca dell’uomo salvifico che dovrebbe, come il vecchio monarca, risolvere i “problemi della gente”.
Questa non è altro che l’espressione ideologica nella coscienza di larghi settori di massa della sconfitta subita. E questo spiega sia la rapida ascesa di Grillo e del suo movimento, ma anche la rapida ascesa del giovane Renzi.
5. Tuttavia proprio le resistenze che si sono manifestate e si manifestano e la presenza di settori sociali che pure in modo parziale contestano le scelte politiche dell’austerità, che si interrogano sul futuro, indica una situazione di società non normalizzata; queste dinamiche e queste soggettività sociali, insieme alle possibili espressioni di ribellione che le contraddizioni capitalistiche lasciano del tutto aperte, indicano lo spazio politico di lavoro su cui una forza rivoluzionaria anticapitalista può e deve lavorare.
Le difficoltà sono enormi ed ogni giorno ci si scontra con avversari straordinariamente più grandi e che dispongono di formidabili risorse materiali, culturali e ideologiche, (soprattutto hanno anche una forte coscienza di sé, della loro classe e dei loro interessi di fronte a una classe operaia che ha perso la coscienza “per sé”) ma che sono pur sempre sottoposte alle contraddizioni del loro sistema e ai suoi movimenti tellurici. Vale la pena di sfruttare gli spazi presenti e di lavorare per essere nelle migliori condizioni sia per favorire lo sviluppo dei movimenti che per operare al meglio al loro interno quando si produrranno.