L’Argentina sotto un nuovo attacco

di Antonio Moscato

Anche senza seguire la strada dell’Ecuador, che aveva costituito una commissione di audit composta da economisti indipendenti, l’Argentina aveva dimostrato che i debiti si possono anche non pagare. Il non pagamento della maggior parte del debito (ridotto di due terzi per il 93% dei creditori) era stato possibile perché l’Argentina era stata appoggiata dal Venezuela, che aveva acquistato una parte dei suoi bond, e perché era ancora vivo il timore di una ripresa dei violenti movimenti di protesta che avevano spazzato via tre o quattro presidenti in poco tempo. Ma la congiuntura economica e anche politica in America Latina è cambiata, e nel novembre 2012 un giudice di New York, Thomas Griesa, aveva sentenziato che il 15 dicembre tutti coloro che non avevano accettato i termini del rifinanziamento dovevano essere pagati per intero (anzi con la quota di capitale, più tutti gli interessi).

Il giudice ha chiesto quindi più di quanto rivendicavano gli stessi avvocati degli «avvoltoi», come vengono chiamate le finanziarie che acquistano per pochi dollari i certificati di credito considerati praticamente inesigibili. Il giudice Griesa ha dichiarato che se l’Argentina non avesse pagato quanto richiesto dai fondi avvoltoio il 15, avrebbe bloccato anche il pagamento di quelli che hanno rinegoziato. Quindi l’Argentina poteva, di fatto, entrare in “default tecnico”, non pagando alla scadenza quanto era stato pattuito. Il 1° dicembre la Corte di Appello di New York aveva accolto parzialmente il ricorso del governo argentino ma ha rinviato la questione per un esame nel merito a una nuova seduta. La spada di Damocle dunque restava pendente…

Nei mesi successivi ci sono state numerose sentenze di appello, in parte contraddittorie, che avevano però confermato nella sostanza il giudizio di Thomas Griesa, e contro cui aveva fatto ricorso il governo argentino, sostenendo che anche se riferito solo ai fondi “avvoltoio” che avevano sollecitato il giudizio (NML, Aurelius, Blue Angel, Elliot, Dart, AC Paster) la sentenza avrebbe messo in forse il pagamento delle rate concordate con chi aveva accettato la soluzione negoziata, mettendo a rischio tutta la ristrutturazione del debito.

Il ministro dell’Economia, Axel Kicillof aveva dichiarato che il giudice Griesa aveva una visione molto ristretta del problema. “Se si paga tutto quello che pretendono, dovremmo pagare 15 miliardi di dollari e si aprirebbero moltissime altre cause, che farebbero saltare completamente l’economia argentina”. Ma la Corte suprema degli Stati Uniti ha accolto ieri la pretesa di Griesa.

Immediatamente la presidente Cristina Kirchner ha avvertito che una soluzione che accolga le pretese dei fondi avvoltoio non colpirebbe solo l’Argentina, ma tutto il sistema finanziario internazionale.

La decisione presa crea un precedente capace di incidere su tutti i negoziati futuri di debiti sovrani, perché basterà che un solo creditore rifiuti una proposta di concordato per lasciare il conflitto aperto.

In realtà si paga il prezzo dell’assenza di una legge sui fallimenti internazionali che regoli la situazione di uno Stato sovrano in default. Nelle ristrutturazioni tra privati basta che una percentuale maggioritaria dei creditori accetti un’offerta perché i rimanenti debbano a loro volta accettarla.

L’assurdo è che la legge sui fallimenti dei municipi vigente negli Stati Uniti ritiene sufficiente che il 66% dei creditori accetti la proposta per chiudere il negoziato, mentre in Argentina addirittura il 92,4% dei creditori aveva accettato a suo tempo l’offerta dello Stato argentino.

Subito dopo l’annuncio della decisione della Corte suprema, migliaia di manifestanti si sono recati a protestare davanti all’ambasciata degli Stati Uniti, mentre Cristina Kirchner confermava che il Governo “terrà fede ai suoi impegni” ed è disposto a “riaprire il cambio del debito esterno ai creditori che non erano entrati nelle ristrutturazioni del debito del 2005 e 2010”, e ha ammesso che la decisione del tribunale non la ha sorpresa. Ha denunciato però che “non si tratta di una disputa giuridica o legale, ma della messa in discussione di un modello di comportamento negli affari che se si sviluppa può produrre tragedie inimmaginabili, e che richiederebbe che ci fossero “governi disposti a contrattare commissioni esorbitanti”. Ha ricordato come si era creato il debito sotto la dittatura militare, e che al momento della dichiarazione di default nel 2001 il debito rappresentava il 160% del PIL del paese.

La presidente ha accusato il fondo NML di pretendere un guadagno del 1608% realizzato comprando nel 2008 “azioni spazzatura” per 48,7 milioni di dollari. “Non sono irritata, sono preoccupata.(…) Il dovere di noi che abbiamo responsabilità è di farci carico dei nostri obblighi, ma anche di non permettere l’estorsione”.

Spero che tutti riflettano”, ha concluso dopo aver spiegato che aveva dato indicazioni a tutti i collaboratori per pagare la quota concordata con il 92% dei creditori. Ha ribadito che se si pagasse quanto richiesto dal giudice Thomas Griesa, un altro 7% di coloro che non hanno accettato nessuno dei due cambi precedenti sarebbe in condizioni di reclamare altri 15 miliardi di dollari, più della metà delle riserve del Banco Centrale, cosa assurda che lascerebbe aperta la possibilità che tutti i creditori trovino un altro giudice che ugualmente gli dia ragione, col risultato di far cadere le ristrutturazioni concordate nel 2005 e 2010 come un castello di carte: ma con loro cadrebbe l’Argentina”.

Una posizione ferma, ma in un contesto internazionale sfavorevole. Il Venezuela deve pensare ai suoi gravi problemi interni, il Brasile sta presumibilmente piuttosto dalla parte dei creditori, anche perché è ormai una grande potenza non solo industriale ma anche finanziaria, in grado di fare prestiti alla BM; altri paesi per dimensioni od orientamento dei governi sono lontani dal poter intervenire utilmente. È il prezzo pagato per aver rinunciato, nella fase ascendente dei nuovi governi “progressisti”, a porre congiuntamente la questione del debito, senza contestare tutti insieme il carattere di estorsione della politica dei grandi creditori, la natura iniqua del debito accumulato dalle diverse dittature per comprare armi sofisticate da usare contro i loro popoli. Solo l’Ecuador ha sia pur parzialmente messo in discussione il debito in quanto tale. Tuttavia una blanda e generica solidarietà nei confronti dell’Argentina è stata espressa nella riunione dei 77+1 in corso a Santa Cruz in Bolivia.

Il giudice Griesa probabilmente è solo un’avanguardia di un’offensiva che è appena all’inizio. Si veda a questo proposito l’articolo di Benoît Bréville e Martine Bulard, Tribunali pensati per rapinare gli Stati, all’interno di un interessante Dossier su TTIP, il grande mercato transatlantico. I potenti ridisegnano il mondo, nel numero di giugno de Le Monde Diplomatique attualmente in edicola.

Ma va detto che il Fondo monetario internazionale ha per il momento preso le distanze dalla decisione della Corte americana, ben consapevole delle conseguenze esplosive che ne deriverebbero. Gerry Rice, portavoce dell’Fmi, lo ha detto chiaro: «Siamo preoccupati per le implicazioni più ampie che conseguirebbero alla decisione della Corte». Molti in Argentina si attendono anche una dichiarazione del papa, magari con una telefonata a Obama…

Sui precedenti vedi sul mio sito La deuda argentina, oltre a numerosi articoli che possono essere ritrovati con i link interni Argentina e Debito. Sulla manifestazione di ieri all’ambasciata, vedi https://www.youtube.com/watch?v=g0KjUZMTLEM&feature=youtu.be (a.m. 17/6/14)

Aggiornamento:

Critiche da sinistra alla Kirchner in Argentina sul debito

Ieri ho segnalato brevemente la gravità dell’attacco all’economia argentina, sferrato nascondendosi inizialmente dietro un oscuro e compiacente giudice di New York, e avevo riportato alcune notizie sulla risposta del governo e sulle prime mobilitazioni davanti all’ambasciata statunitense. Avevo accennato anche alla debolezza della risposta argentina, che ha rinunciato fin dall’inizio a ogni battaglia generale contro il debito che affligge moltissimi altri paesi. Ma sono poi apparsi molti articoli più severi di vari economisti argentini: Ad esempio Esteban Mercatante, oltre a ricordare che i cosiddetti “«avvoltoi» non sono più avvoltoi di altri che avevano accettato la ristrutturazione del debito”, conclude che il debito in quanto tale “è una frode, un saccheggio” perché ogni anno sottrae “miliardi di dollari che sarebbero necessari per investimenti urgenti in infrastrutture e trasporti, abitazioni, educazione e sanità, ridotti al minimo per garantire i fondi degli usurai. Per questo è necessaria la lotta per non pagare, parte essenziale di ogni programma dei lavoratori.

Anche Julio C. Gambina, Presidente de la Fundación de Investigaciones Sociales y Políticas, FISYP della città di Buenos Aires, parte dalla considerazione che sono avvoltoi non solo i piccoli fondi speculativi che hanno trovato una sponda nel giudice Thomas Griesa, ma anche i rispettabili creditori del Club di Parigi, che pretendono di riscuotere i debiti odiosi contratti da illegittimi governi genocidi, anche imprese come la Repsol che hanno svuotato le riserve di idrocarburi del paese, ecc. ecc., e si domanda se “tutto quel che si può fare è pagare?”, ma anche “che iniziative di solidarietà effettiva si promuoveranno? O meglio, perché non andare avanti nell’eseguire iniziative più avanzate di una nuova architettura finanziaria regionale per affrontare il regime del capitale e dell’imperialismo.

Il testo integrale in lingua originale dei due interventi che ho segnalato, è pubblicato sul mio sito: Sul debito, critiche da sinistra alla Kirchner in Argentina* (a.m.18/6/14)

PS Segnalo anche una pagina del Sole 24 ore del 18 giugno dedicato all’Argentina: il quotidiano di Confindustria è piuttosto preoccupato dal “rischio Argentina” per gli investitori italiani, ma non ha ovviamente una parola di critica per il gesto di Standard & Poor’s, che si è precipitata ad aggravare la situazione abbassando il rating dell’Argentina di due gradini, da CCC+ a CCC-. L’assurdo è che Standard & Poor’s è un agenzia privata, che ha un’attendibilità non superiore a quella delle agenzie di sondaggi elettorali italiani, ma può dare il colpo di grazia all’Argentina già provata dalle decisioni di un oscuro giudice di New York. Il “Sole 24 Ore” tra l’altro consiglia ai piccoli risparmiatori italiani di unirsi ai 50.000 che si sono rivolti a TFA (Task Force Argentina) che ha rifiutato di accettare il concambio proposto nei piani di ristrutturazione del debito, e considera “un precedente positivo” la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti. Piccoli avvoltoi crescono…

Il ministro Kicillof ha spiegato che se il Governo pagasse 1,33 miliardi di dollari, in contanti e in una sola tranche, agli hedge funds, si aprirebbe il baratro di un’immediata richiesta, per 15 miliardi di dollari, da parte di altri creditori che non hanno accettato le offerte del governo argentino. Ma 15 miliardi di dollari costituiscono la metà delle riserve della Banca centrale argentina. Ecco perché la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner ha accusato il giudice Thomas Griesa di voler spingere l’Argentina verso il default. In questa spirale perversa si arriverebbe poi a 120 miliardi di dollari, perché chi ha accettato il concambio potrebbe richiedere ex post le stesse condizioni di coloro, gli hedge fund, che hanno ottenuto il rimborso completo. Insomma si profilerebbe un quadro drammatico, in cui al default argentino seguirebbe una grave instabilità finanziaria internazionale. Anche per questo il Fondo monetario internazionale ha preso le distanze dalla decisione della Corte americana, ben consapevole delle conseguenze esplosive che ne deriverebbero. Gerry Rice, portavoce dell’Fmi, lo ha detto chiaro: «Siamo preoccupati per le implicazioni più ampie che conseguirebbero alla decisione della Corte».