Riprendiamoci il primo maggio
di Franco Turigliatto
La giornata del primo maggio, nonostante i tentativi delle forze padronali e degli apparati burocratici sindacali di cancellarla o di trasformarla in una vuota ricorrenza, resta il giorno simbolo del movimento operaio; in tutto il mondo milioni di lavoratrici e lavoratori manifesteranno per mettere avanti i loro obiettivi e le loro speranze.
Sono molti i paesi in cui i diritti democratici più elementari sono negati e in cui mobilitarsi significa affrontare la repressione dei governi dittatoriali delle classi dominanti.
Alla classe operaia di quei paesi va in primo luogo la nostra solidarietà e sostegno.
Ma anche in Europa e nel nostro paese, dove il movimento dei lavoratori aveva conquistato molti diritti democratici e sociali, di cui la giornata di festa era simbolo e conferma, il primo maggio ha cambiato volto; in molti luoghi di lavoro (a partire dal commercio) si è tornati a lavorare come un secolo fa e con ritmi e livelli di sfruttamento che ricordano quelle epoche.
I padroni, complici le burocrazie sindacali, hanno riconquistato il pieno controllo degli orari e reso sempre più flessibile il lavoro. Negli ultimi decenni molte conquiste sono andate perdute ed oggi la borghesia conduce una vera e propria guerra sociale contro le condizioni di vita e di lavoro di larghissimi settori di massa. Lo fa attraverso l’azione dei governi dei vari paesi, coordinati dalle istituzioni dell’Unione Europea e dalla cosiddetta Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale).
In Italia il bilancio di questa guerra già comporta 3 milioni di disoccupati, il 40% dei giovani senza lavoro, milioni di lavoratori precari e sottopagati, 9 milioni di poveri, mezzo milione di lavoratori in cig, un milione di persone che hanno difficoltà ad accedere alla sanità, metà dei pensionati con meno di 1000 euro al mese…. Un disastro e una vergogna inaccettabile.
La classe padronale e i suoi media sviluppano una campagna ipocrita sulle virtù dell’Unione Europea e sui valori dell’unità e dell’europeismo mentre cercano di dividere con tutti gli strumenti possibili la classe lavoratrice, tra uomini e donne, tra vecchi e giovani, tra pubblici e privati, tra migranti ed indigeni sulla base della vecchia logica del “divide ed impera”. Alimentano così anche le chiusure localiste ed identitarie e le disperazioni nazionaliste e fasciste.
In Italia questa offensiva ha assunto prima il volto del governo Berlusconi, poi quello delle larghe intese di Monti e Letta, infine quello Renzi che, con la demagogia e le operazioni illusioniste, prova a nascondere la sua continuità con le politiche di austerità, ben espressa nell’ulteriore precarizzazione del lavoro, nei massicci tagli alla spesa sociale e pubblica e nelle privatizzazioni.
Ma i padroni hanno potuto agire con facilità, perché le grandi organizzazioni sindacali sono state o complici (CISL, UIL) o passive come la CGIL. Quest’ultima con l’accordo del 10 gennaio ha scelto infine la strada della subordinazione completa al padronato.
Una CGIL sempre più a destra è anche un sindacato in crisi, soprattutto un sindacato che non è più in grado e non vuole più svolgere la funzione per cui era nata: unire l’insieme dei lavoratori per contrapporsi alle scelte dei padroni, conquistare salari e pensioni migliori, nuovi diritti in fabbrica e nella società e ridurre l’orario di lavoro.
L’insieme del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici era nato per contrastare l’oppressione e lo sfruttamento padronale e conquistare questi obbiettivi immediati, ma anche per progettare e costruire una società socialista, di liberi ed eguali basata sulla partecipazione e sulla autogestione delle cittadine e dei cittadini.
Resta questo il compito di tutte le organizzazioni politiche e correnti sindacali di classe che vogliono restare fedeli agli interessi della loro classe, costruendo le resistenze e le lotte all’austerità capitalista.
Si tratta di contrapporre alle scelte del capitale “le scelte delle lavoratrici e dei lavoratori”, in un’ottica di solidarietà e di internazionalismo, battendosi insieme per i diritti sociali, culturali e politici dei popoli del continente, ad Ovest come ad Est, dando nuovo slancio alla battaglia contro il debito, strumento di ricatto e saccheggio delle risorse collettive dei paesi, approfondendo la battaglia per i diritti dei giovani, per la liberazione della donna, per l’eguaglianza tra le nazioni per i diritti dei vari popoli ed etnie, per la difesa dell’ambiente, contro i nuovi pericoli di guerra e le spese militari, per una politica di aiuti e di collaborazione con i paesi del cosiddetto terzo mondo, di sostegno alle rivoluzioni e ai processi sociali che sono maturati dall’altra parte del Mediterraneo.
In Italia dobbiamo ricostruire la mobilitazione per difendere gli interessi fondamentali della classe lavoratrice. Dobbiamo batterci per un recupero salariale forte e garantito da reali contratti nazionali, dalle vertenze collettive e dall’unità delle lavoratrici e dei lavoratori nella lotta.
Per difendere e conquistare posti di lavoro, battere la precarietà e la disoccupazione, è necessario cancellare la controriforma Fornero ed aprire una vertenza generale per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, cioè per la distribuzione del lavoro esistente tra tutti quelli che ne hanno bisogno e contemporaneamente rivendicare un nuovo intervento pubblico ampio e qualificato che crei nuova occupazione, servizi e opere utili al benessere della collettività.
E dobbiamo anche mobilitarci per difendere la spesa pubblica e sociale, i servizi pubblici che sono parte integrante del nostro reddito e delle nostre condizioni di vita.
Il primo maggio deve non solo tornare di lotta, ma aprire una nuova stagione di mobilitazione e di protagonismo della classe lavoratrice.