Dopo Lampedusa, il futuro è nelle lotte
Durante le giornate natalizie la legge Bossi-Fini è diventata nuovamente argomento di discussione politica. Avvenne lo stesso dopo la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre. L’occasione, stavolta, è stata una concatenazioni di eventi che ha visto i migranti protagonisti di una serie di proteste dopo una serie di abusi e violenze, testimoniate dalle immagini scioccanti provenienti dal centro di accoglienza di Lampedusa.
L’azione clamorosa del parlamentare democratico, Khalid Chaouki, che si è rinchiuso tre giorni nel centro d’accoglienza dell’isola siciliana per protestare contro il trattamento disumano riservato ai profughi internati da oltre un mese in quella che dovrebbe essere una struttura di prima accoglienza, ha senz’altro fatto da cassa di risonanza. Egli ha ottenuto solo un parziale risultato. Quasi duecento profughi, infatti, sono stati trasferiti in altri centri (chissà in quali condizioni); tuttavia, sono rimasti 17 superstiti della tragedia del 3 ottobre, ossia coloro che testimonieranno nell’inchiesta in corso sul naufragio. In un comunicato, il comitato 3 ottobre ritiene giustamente inaccettabile “la decisione di trattenere ancora recluse senza chiare motivazioni e senza alcun atto formale i 17 profughi e chiede “l’azione ancor più determinata da parte di istituzioni e cittadini per porre fine a questa scandalosa lesione dei più elementari diritti umani nei confronti di 17 immigrati, colpevoli di essersi liberamente offerti di testimoniare nel procedimento avviato contro i responsabili di gravi reati”.
La disumanità di strutture come i Cie è riemersa grazie all’eclatante protesta dei migranti che si sono cuciti la bocca nel centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma, così come dalla lotta dei richiedenti asilo di Cara (Centro di accoglienza e e di richiedenti asilo) del Mineo (Ct) fermati violentemente dalla polizia mentre si dirigevano in corteo a Catania per protestare contro i tempi d’attesa interminabili della procedura d’asilo e contro le condizioni a cui sono costretti nel centro. Ricordiamo che a metà dicembre si è suicidato un giovane eritreo.Dopo le proteste con l’inizio dell’anno è di nuovo calato il silenzio sui Cie e i Cara, vero strazio per gli immigrati.
Nulla di ci si può attendere dal Pd .
All’interno del Pd più voci si sono nuovamente levate a favore dell’abrogazione o per lo meno la modifica dell’attuale quadro legislativo. Il vice ministro dell’interno, Filippo Pubblico (Pd), ha affermato che è necessario “agire per superare l’esperienza dei Cie, un modello superato e inutile che produce disagi e sofferenza”, per cui occorre “ripensare il modello attuale e promuovere un nuovo sistema di accoglienza che rispetti la dignità umana” (La Stampa, 23 dicembre 2013).
Il ministro Kyenge, comunque attenta agli equilibri di governo, sostiene che “va modificato il reato di clandestinità, che si è dimostrato essere un costo anziché un beneficio per il paese e un fattore che aumenta il disagio, come abbiamo visto a Lampedusa” (L’unità, 23 dicembre 2013). Evidentemente alcuni settori del Pd sono presi dai sensi di colpa. Consci dell’impossibilità di mantenere alcune promesse, devono mostrasi fermi a parole per non perdere la faccia di fronte a quelle realtà che si battono in particolare per il diritto di cittadinanza e che, facendosi troppe illusioni, hanno dato carta bianca al governo. Il ministro Kyenge e il deputato Chaouki ne sono una delle espressioni politiche.
Il ministro dell’interno Alfano ha, d’altro canto, subito chiarito che la Bossi-Fini non è in discussione. Egli ha liquidato la protesta di Ponte Galeria con un tono razzista e sprezzante: “sulla sicurezza degli Italiani non si scherza – sono parole rilasciate in un’intervista a La Repubblica il 27 dicembre – Tra quelli che si sono cuciti la bocca a Ponte Galeria la metà sono spacciatori e l’imam è indagato per gravi reati come rapina e lesioni. Un conto è la giusta tutela di ritrovarsi magari domani con queste stesse persone che spacciano davanti a una scuola”. Si tratta del solito discorso di destra che punta sulla presunta criminalità dell’immigrato attraverso un discorso che mira a suscitare paura, dal momento che egli ben sa che nei Cie finiscono coloro che hanno commesso un solo supposto reato, almeno per l’attuale legislazione, ossia quello di non avere il permesso di soggiorno.
Ritorno alla Turco-Napolitano?
Sui Cie, in realtà, potrebbe aprirsi qualche spiraglio, non certo per motivi umanitari. Queste strutture, infatti, si stanno rilevando inadeguate per gli stessi “tutori dell’ordine”: forieri di rivolte, sono soprattutto onerosi dal punto di vista gestionale. Dei 12 centri realizzati solo 5 sono rimasti aperti: quelli di Torino, Milano, Roma, Bari, Caltanissetta. Ultimamente, infatti, hanno chiuso i battenti quello di Gradisca e quello di Modena. Resta il fatto, comunque, che vi è una mappa più articolata dei luoghi di approdo e attesa di cui i Cie sono una parte accanto a strutture di prima accoglienza come i Cara e i Cda (Centri di accoglienza) che spesso sono concepite come vere e proprie strutture di reclusione.
In realtà ci potrebbe essere un graduale e attenuato ritorno alla Napoletano-Turco per rompere le resistenze del Centro destra. In effetti, analizzando le proposte concrete piuttosto che le dichiarazioni, gli esponenti del Pd non puntano all’abrogazione dei Cie, quanto alla riduzione dei giorni di permanenza in vista di una più facile e immediata espulsione nel quadro di quelle che sono le normative europee. Insomma il Pd si candida a fare il lavoro sporco in modo più razionale e “indolore”. Questa è la direzione di marcia intrapresa da Renzi. Davide Faraone, nuovo responsabile welfare e immigrazione del Pd in una recente intervista al manifesto parla, infatti, della Bossi-Fini come “legge irriformabile, nata da un’impostazione sbagliata”; tuttavia, approda alla conclusione che il reato di clandestinità va abrogato e che vi vuole la riduzione dei tempi di permanenza dei Cie che “oggi arrivano fino a 18 mesi, mentre vanno drasticamente ridotti fino ad un massimo di due” (Il manifesto, 3 gennaio 2014). La proposta di reintroduzione dello sponsor, una sorta di garante che potrebbe far entrare gli immigrati in cerca di lavoro fornendo garanzie sul sostentamento e l’eventuale rimpatrio dello straniero, indica, d’altro canto, la filosofia liberista e filo padronale renziana: l’immigrato è essenzialmente forza lavoro a basso costo che va sfruttata e spremuta fin quando è utile ai padroni.
Quello che comunque si prospetta non è nulla di buono per i migranti. Come abbiamo già scritto, non sarebbe comunque facile per lo stesso Partito democratico cambiare una legge che è una brutta copia della Napolitano-Turco 40/98.
Come è risaputo, inoltre, alcune cooperative vicine al Partito democratico partecipano attivamente alla gestione dei Cie ma anche dei Cara e di altri centri di prima accoglienza. Ci troviamo quindi di fronte ad un sistema in cui piano piano si sono determinati interessi materiali difficili da smantellare.
L’Europa, l’Italia con l’elmetto
L’ Europa dei diritti tanto decantata dal Pd è un puro miraggio. Come si potrebbe governare un sistema che ha tra i scopi disciplinare e dividere la forza lavoro per renderla più ricattabile. Non deve stupire, quindi, che il Pd alla fine accetti il rafforzamento di Frontex, vera e propria agenzia di “sorveglianza delle frontiere esterne degli Stati dell’Ue”, in piedi dal 2004-2005 e che costituisce un vero e proprio processo di esternalizzione nel controllo delle frontiere.
L’operazione Mare Nostrum non è a caso figlia del governo Letta. In questo caso non si sono sentite voci critiche per quella che si presenta per un’operazione dai risvolti neocoloniali. Qualche preoccupazione avrebbe dovuto destare per lo meno qualche storico, dal momento che questa locuzione rimanda alle mire imperiali nazionaliste e fasciste. Per alcuni sarà il frutto dell’ignoranza dei nostri tempi. Ne dubitiamo fortemente. Mare nostrum, nome romano per il Mar Mediterraneo, è stato storicamente rivisitato dai nazionalisti italiani, nonché dai fascisti. Essi ritenevano l’Italia il seguito dell’Impero romano, per cui come tale avrebbe dovuto riprendere il controllo degli ex-territori romani nel Mediterraneo1. E’ evidente il tentativo di sfruttare la tragedia per mantenere un maggior controllo sul Mediterraneo. Che non sia un’operazione di carattere squisitamente umanitario del resto è stato, d’altro canto, ben rilevato dall’analista in questioni militari del Sole 24 ore Gianandrea Gaiani, non certo un fervido militante antirazzista, bensì vicino ad ambienti piuttosto conservatori. L’operazione consta infatti di cinque unità navali d’altura con una decina tra aerei, droni ed elicotteri ed ha un costo di 10 mila euro al mese. Non può destare qualche sospetto la composizione dello strumento aeronavale messo in campo – come osserva Gaiani – “specie le fregate lanciamissili Maestrale le cui caratteristiche mal si prestano al soccorso di civili. Navi da oltre 3 mila tonnellate, pesantemente armate, con poco spazio a bordo per ospitare naufraghi e molto onerose…; la nave San Marco oltre a imbarcare un ospedale e il comando dell’operazione ospita anche mezzi da sbarco e fucilieri di Marina…. . Teoricamente ci sarebbero quindi i margini anche per azioni più complesse militari”. Sarebbe giusto sostituire l’avverbio teoricamente con quello più corretto, praticamente.
2014: il futuro nelle lotte
Per il 2014 non dobbiamo certi attenderci segnali positivi dal governo, che del resto mai abbiamo avuto. Purtroppo mentre la sedicente sinistra occulta le ragioni economiche, sociali e militari che spingono alle migrazioni, permangono, tuttavia, ancora molte illusioni sul Pd, anche in molte associazioni antirazziste e di immigrati. Si tratta di realtà che hanno spesso subordinato la battaglia per i diritti sociali e più complessivi a quella per i diritti civili e che vedono nel partito democratico un “pilastro istituzionale”. Questa illusione rischia di essere alimentata nuovamente da Renzi. La realtà è ben diversa. Non a caso ci troviamo ancora oggi con la Bossi-Fini mai così discussa e al contempo mai così funzionante e con le nostre frontiere militarizzate.
In realtà le battaglia per i diritti civili, democratici e sociali non possono essere disgiunte. Per queste ragioni la sinistra anticapitalista e radicale deve intraprendere concretamente una politica che valorizzi l’unità di classe per difendere assieme questi diritti, posta in gioco importante nella guerra sociale in corso. Le battaglie delle lavoratrici e dei lavoratori della logistica forniscono un’indicazione per il futuro. Migranti e italiani hanno lottato insieme in un unico fronte di lavoratori nonostante i vigliacchi tentativi di divisione dei sindacati complici e delle cooperative, molte delle quali legate al Pd, e hanno dato un segnale forte. E’ ritornato così al primo posto il diretto protagonismo della classe lavoratrice attraverso un no secco alla svendita dei diritti, ribadendo dignità e allo stesso tempo una piattaforma minima, concreta e sostanziata che va dal riconoscimento vero della malattia, fino alla tredicesima e alla presenza effettiva di una rappresentanza sindacale dei lavoratori. Queste lotte devono proseguire e amplificarsi. Del resto noi guardiamo a quella Europa in cui i lavoratori immigrati sono stati parte attiva ed integrante delle lotte operaie già nel ’68 in Francia così come in Belgio, come come nei periodi successivi in Germania.
1Mussolini in più occasioni fece riferimento a fare del Mediterraneo un “lago italiano”. Infatti, già nell’aprile 1926 in un discorso a Tripoli, avanzò l’idea di un mare nostrum, con una talassocrazia italiana sul Mediterraneo. Dopo l’occupazione italo-tedesca della Grecia e della Jugoslavia nell’aprile del 1941, il Duce incominciò a usare l’espressione (inizialmente in un discorso celebrativo ad Atene) di Mare Nostrum Italiano, riferendosi al Mediterraneo. Cfr. il bel libro Mare nostrum. Il colonialismo fascista tra realtà e rappresentazione (a cura di Alessandro Pes, 2012).
